MOTO, BIKERS E SOCIAL: “Se fai le vacanze in motocicletta le cose assumono un aspetto completamente diverso. In macchina sei sempre in un abitacolo; ci sei abituato e non ti rendi conto che tutto quello che vedi da quel finestrino non è che una dose supplementare di TV. Sei un osservatore passivo e il paesaggio ti scorre accanto noiosissimo dentro una cornice. In moto la cornice non c’è più. Hai un contatto completo con ogni cosa. Non sei uno spettatore, sei nella scena, e la sensazione di presenza è travolgente”.
Comincio questo mio articolo con le parole di Robert Maynard Pirsig, uno scrittore e filosofo statunitense, celebre (come riportato anche da Wikipedia) soprattuttoper il suo primo libro, “Lo Zen e l’arte della manutenzione della motocicletta (1974)”.
Una sorta di romanzo, che racconta di un viaggio (a metà fra il reale e il metaforico) in cui l’autore e il figlio attraversano in motocicletta gli Stati Uniti dal Minnesota alla California, assieme ad un’altra coppia di amici.
Ho scelto di riportare quest’osservazione perché, a mio avviso, descrive perfettamente la filosofia che per decenni (a partire dal 1885, con il primo prototipo di motocicletta con motore a combustione interna ideato da Gottlieb Daimler e Wilhelm Maybach nelle vicinanze di Stoccarda) ha accompagnato l’utilizzo della moto.
MOTO, BIKERS E SOCIAL. Essere motociclisti significava sperimentare quella strana ma ambitissima sensazione di libertà; cavalcare una moto, tra curve, passi di montagna, lungomari e lungolaghi, era per tutti sinonimo di “fuga”; una fuga vissuta da protagonista e non da semplice spettatore.
A tal proposito, una splendida descrizione dell’essere motociclista, ce l’ha regalata anche Max Pezzali, che nel 1997 cantava “La mia moto scorre piano sulla 526 / Attraversa dei profumi che poi / Un metro dopo non li senti più / Io respiro e mando giù /Prima di perderli che non si sa mai / Da lontano un’altra moto / Sta venendo verso me / Alza il braccio, fa un saluto
Che bello è (che bello è) / Mi fa sentire che / Basta un giorno così / A cancellare centoventi giorni stronzi e / Basta un giorno così / A cacciarmi via tutti gli sbattimenti che […].
MOTO, BIKERS E SOCIAL. Insomma, per oltre un secolo, la parola Motocicletta è stata sinonimo di libertà, viaggio, comunità e avventura.
Poi, come accaduto anche per altre cose, i tempi son cambiati, sono arrivati internet, i social e, infine, i “gruppi nei social” – dove, sempre più spesso, bisogna essere influencer – ed abbiamo assistito a una sorta di inversione ad “U” (facilmente sperimentabile da tutti) che ha trasformato la moto da “macchina pulsante, con cuore e anima, dispensatrice di libertà” a “feticcio inanimato”, utile soprattutto ad accrescere personali derive narcisiste.
Un oggetto – assimilabile ad un paio di scarpe o ad una borsa- da sfoggiare nelle serate di gala o durante un aperitivo glamour in spiaggia, in grado di far comprendere ai passanti la “figaggine” e (peggio ancora) la ricchezza del suo padrone.
Insomma, si è passati da “essere motociclisti” a voler “apparire motociclisti”.
Ed ecco che, come scritto anche in un articolo di Massimo Ferrara su Motospia.it (non proprio l’ultimo arrivato nel mondo delle Due Ruote) “Una volta se volevi reggere una discussione con vecchi appassionati di moto era meglio presentarsi dotati di una certa cultura sull’argomento. Oggi invece l’approccio è quanto di più banale si possa immaginare. Arriva l’ultimo si iscrive e poi chiede vorrei questa moto che colore mi consigliate? Che accessori mi consigliate? Ma che domande sono? Oppure ho comprato questa moto come si azzera il parziale? Come si aziona il cruise control? Quesiti simili (il libretto uso e manutenzione a che serve?) stimolano poi le più variegate e del tutto soggettive risposte: comprala blu come la mia, oppure qualcuno mette direttamente il link sul video in cui lui o il suo guru di turno spiega bene come si cambia mappatura su questa o quella moto altri se si parla di una moto mettono la foto della propria regina… che è il massimo per tutti… punto.”
Non di rado mi sono imbattuto in discussioni social dove, addirittura, qualche bikers “figo e facoltoso” sciorinava la foto della propria moto, tessendone le lodi e la superiorità (anche in termini economici) rispetto alle meno blasonate concorrenti.
Ebbene, fermo restando che ognuno è libero di fare e dire quel che vuole, temo che tale approccio – superficiale e pressapochista – al mondo delle Due Ruote, possa farci oltrepassare (senza ritorno) la sottile linea che separa quello che eravamo (persone libere, con le mani sporche di grasso) da quello che rischiamo di diventare (schiavi degli stereotipi con un buon odore di lavanda).
Pertanto, nella speranza di continuare a sporcarmi le mani di grasso e benzina per molti anni ancora, auguro a tutti noi di ritornare a percorrere la “strada maestra”; quella fatta di tanti indici e medi divaricati, di tante soste con panini e mortadella e, soprattutto, di tante risate, senza distinzione di razza, ceto, religione e moto.
un lampeggio…