L’Islanda in Ténéré 700. Quest’isola denominata “di fuoco e ghiaccio” non era una meta sconosciuta alle mie gomme. Il primo approdo tramite il traghetto che parte dalla Danimarca è stato nel 2014. Da quel momento ho visitato quest’isola in diverse estati con mezzi sempre diversi, dalla motocicletta alla Jeep 4×4. A questo punto la domanda potrebbe arrivare spontanea: Allora perché tornare nuovamente sulle stesse terre?
Perché è un’isola unica nel suo genere, sia per il paesaggio, sia per le strade. Ad ogni viaggio si scopre sempre un luogo nuovo dove il tempo sembra immobile da decenni.
Quest’anno il viaggio è durato 2 settimane dove nella prima ho lavorato come Tour Leader per Islandainmoto portando un gruppo di motociclisti alla scoperta del luogo e la seconda mi sono concessa una piccola vacanza.
Quest’ultima settimana l’ho programmata in maniera meticolosa perché quest’anno volevo percorrere alcuni luoghi visti solo in Jeep ma volevo riviverli tramite il mezzo che amo: la motocicletta. Può sembrare un pensiero banale e di facile realizzazione ma non è così. Serve il mezzo adatto, le capacità adatte e anche un piccolo momento di follia e coraggio in certe condizioni meteo.
Fin ora sono sempre sbarcata sull’isola con mezzi a due ruote non totalmente adatti per alcuni punti della cartina per questo negli ultimi anni sono andata alla ricerca di un mezzo idoneo. Avevo visto e toccato con mano le strade che volevo percorrere e dovevano diventare realtà. Dopo aver testato diverse moto in diversi tipi di viaggio, l’anno scorso ho provato una Ténéré 700 in un viaggio in Norvegia percorrendo circa 8.000 km in due settimane. Al ritorno dal viaggio ho pensato che potesse essere un buon compromesso per i diversi tipi di strade che l’Islanda poteva propormi.
Dopo la scelta della motocicletta serviva una mia preparazione sia fisica che mentale. Ad inizio di quest’anno ho provato a cercare un mio equilibrio sullo sterrato. Tempi di lavoro permettendo, sono riuscita a fare almeno una quindicina di uscite con la Ténéré 700 e una ventina con una Yamaha Wr 250 4t comprata apposta per prepararmi a questo Agosto. Sicuramente non abbastanza per fare una settimana di pieno off, ma speravo in un buon inizio per poter provare. A questo punto rimanevano solo lo studio delle strade sulle cartine, incrociando i dati con i ricordi salvati nei miei diversi diari di viaggio che ho creato ad ogni mia avventura sull’isola, la preparazione delle gomme e i bagagli.
Per le gomme ero più sicura che mai su cosa volevo come caratteristiche e cosa mi servisse. L’asfalto in Islanda è molto ruvido permettendo un buon grip della gomma ma con l’inghippo che è molto abrasivo e consuma il battistrada circa un 40 per cento in più rispetto alle nostre strade. Gli sterrati sono di diverso tipo: si passa da terra (con la caratteristica che in caso di pioggia non diventa fango, questo perche’ viene irradiata con acqua salate regolarmente con autocisterne), ghiaia, sabbia e rocce laviche. La prima settimana era programmata con strade bianche e asfalto, la seconda un mix di tutto. Ho optato per le dunlop 908 RR.
Di questo tipo di gomme avevo letto solo qualche recensione e commento di piloti esperti durante i Motorally (non c’è da vergognarsi a chiedere informazioni su chi prova certe gomme, sicuro è che bisogna sempre tenere presente che sono pensieri soggettivi e cambiano sia dalle particolarità di guida della persona, sia dal tipo di motociclo sia del peso complessivo del pilota e della moto). Un paio di mesi prima ho acquistato queste gomme per provarle sul terreno italiano. Essendo studiate come un mix era prevedibile che mi trovassi instabile sull’asfalto nei primi km. Dopo due mesi ho deciso di provarle anche sull’isola. La mescola non è così morbida per consumare fino alle tele il battistrada in pochi km. Inoltre, data la carcassa abbastanza dura ho deciso che avrei gonfiato le gomme un po’ di piu’ rispetto alle indicazioni della casa madre (sia la carcassa dura sia i tipo di gonfiaggio servono per evitare di pizzicare la camera d’aria nelle buche sugli sterrati). Questo secondo me avrebbe potuto essere un buon compromesso on/off.
Sulla questione bagagli è inutile dire di portarsi meno vestiti “civili” e piu’ ricambi per andare in motocicletta, lo do per scontato. Ogni persona fa a sé su questo fronte. Io conosco le mie difficoltà con il freddo e per questo ho scelto materiale tecnico specifico e un bel giubbino con resistenze elettriche per poter generare calore al momento del bisogno. Odio anche la pioggia sulla visiera e per questo adotto dei guanti che sul pollice sx hanno una piccola parte di plastica che funziona da tergicristallo (chi l’ha inventato lo ringrazierò a vita). Non banale è la scelta degli stivali. Ho visto tantissimi arrivare con stivaletti bassi e poco rinforzati. Secondo me devono essere alti, non come quelli da enduro, ma leggermente rinforzati e soprattutto anti acqua e caldi. Provateli prima della partenza, devono tenere l’acqua in maniera eccelsa!
Non sempre la sera si ha la possibilità di un termosifone dove appoggiarli e dubito che ci possa essere spazio in valigia per un paio di stivali in più. Infine, io una delle due valigie l’ho riempita solo per ricambi e pezzi di moto (non si sa mai, anche se le Yamaha sono moto generalmente affidabili). Avendo anche un tour da guidare non ho pensato solo ad attrezzi con grandezze idonee per la Ténéré 700 ma anche per le diverse moto che avrei accompagnato. Chiavi, brugole, pinze, grasso, pulitore catena, falsa maglia, pastiglie freno, camere d’aria, ferri per cambio gomme, bicomponente, compressore, fusibili, riparatore tubeless, le mitiche fascette, filo di ferro e nastro americano.
Questi tre ultimi elementi, insieme al re dell’officina che è il martello, non avete idea della versatilità che possono avere e quante situazioni possono risolvere. Con il senno di poi, notando alcune moto che abbiamo soccorso lungo il tragitto di altri avventurieri dell’isola, consiglio di portare anche un cambio del cavo frizione e la leva in caso di off road. Sembro probabilmente esagerata per i profani dell’isola ma basta pensare che i meccanici esistono solo nella capitale e questo comporta o chiedere assistenza al 112 (senza dirvi quanto può essere economicamente dispendioso) o dover cercare aiuto tramite altri viaggiatori e, se si è fortunati, avere la possibilità di ripartire. Per le borse ho optato per quelle rigide della Yamaha e ho preferito non avere il bauletto ma la sacca a rotolo. Questo perché sono modulari quindi ne puoi portare una abbastanza grosso ma riempita a metà, occupa poco spazio, fa poca vela e si ha sempre dello spazio extra per poter prendere bagagli di altri (ad esempio se a qualcuno si rompe una borsa) o semplicemente per comprare qualcosa durante il viaggio.
Anche la moto deve essere preparata, sia perché il viaggio è lungo sia perché un problema tecnico sull’sola può essere molto costoso e rovinare l’avventura: prima di partire ho fatto un tagliando completo. Tutto quello che aveva un’usura a metà vita ho deciso di cambiarlo: gomme, pastiglie freni, catena, corona, pignone, olio e filtro motore. E’ stata una settimana di sere intere passate in garage a preparare il tutto! Patendo il freddo ed avendo un problema al medio della mano destra che ha volte si blocca, ho installato le manopole riscaldate. Potevo mettere le moffole? Si, ma ho preferito evitarlo in quanto in caso di off non avrei potuto avere la motilità necessaria dei polsi e, a mio avviso, in caso di caduta avrebbero potuto rivelarsi pericolose.
Dopo tutte queste preparazioni il viaggio poteva finalmente iniziare.
La mia moto come quelle dei clienti è stata portata sull’isola tramite l’agenzia per cui faccio da guida: islandainmoto.it. Sono arrivata alla capitale dell’isola il 5 Agosto e dopo un controllo veloce della pressione delle gomme sono partita per un piccolo scouting per assaporare l’odore e l’aria di questo diamante geologico. Entusiasta ho iniziato a percorrere la Ring road per arrivare alla penisola di Snæfellsnes, pioveva a dirotto e le temperature non erano molto clementi ma non mi importava; era un anno che volevo essere li! In questa giornata, probabilmente con troppa sicurezza sulla conoscenza della strada, una folata di vento a 28m/s mi ha destabilizzato non poco alla guida! Anzi, mi sono chiesta cosa diavolo stesse succedendo! Ho rallentato ben al di sotto dei limiti di velocità che stavo percorrendo e mi sono messa in ascolto del meteo per trovare un punto di equilibrio con quello che mi si stava proponendo. Finita la zona di pericolo, che mi sembrò infinita (invece erano solo pochi km), accostai e feci un sorriso molto tirato ringraziando l’isola perché capii che era un avvertimento che si la conoscevo.. ma che avrei comunque dovuto darle sempre del LEI.
Islanda in Ténéré 700. Il tour con i clienti è iniziato il 7 Agosto. Ero energetica ed entusiasta di poter far innamorare altri di questo luogo pieno di leggende e natura. Sapevo già che potevo partire svantaggiata, come è già successo in passato, agli occhi delle persone sia per la mia età abbastanza giovane sia perché guide donne in moto sono rare. Ma ero comunque tranquilla. Forse è uno dei pochi luoghi in cui mi sento davvero sicura e la voglia di far scoprire alle persone l’Islanda come la conosco io è stata l’emozione che ha prevalso su tutto. Poi in moto! Vivere realmente tutte le sensazioni a 360 gradi con tutti i sensi del nostro essere. E’ la cosa più bella che io conosca. Il giro dell’isola l’abbiamo fatto in senso orario e dopo il primo giorno di acqua e vento ho capito di avere un gruppo compatto, veloce e subito in sintonia sia con me sia con il luogo. Ero contenta perché avevo già capito che potevamo includere più mete rispetto a quelle designate nel programma. Il terzo giorno, dopo uno sterrato, siamo arrivati a Holmavik per pranzo. Eravamo sotto l’acqua da tutto il giorno con una temperatura che oscillava dai 3 ai 7 gradi. Arrivati al porto abbiamo parcheggiato ed ero preoccupata di come stesse il gruppo. Con mia felicità ero in compagnia di viaggiatori che risero sopra all’incessante maltempo. È il momento di una zuppa calda di pesce, un cambio degli indumenti bagnati e la ripartenza. Non a caso ho precisato gli indumenti: è sempre bene avere almeno uno o due cambi tra guanti, foulard e maglia termica che possono farti sentire rinato alle ripartenze.
Il giro ci ha portato a diverse mete come Akureyri con escursione in barca per la visione delle balene, il lago Myvatn, che con la sua enorme quantità di moscerini ci ha reso quasi impossibile fare rifornimento al benzinaio (ma che offre un infinita’ di cose da vedere), le cascate come Dettifoss, Godafoss, Gullfoss, Skogafoss e Selijalandsfoss.
Ci sono state anche mete piu’ faunistiche come la vista delle Volpi artiche o delle goffe pulcinelle di mare a Dyrholaey. E mete caratteristiche della moltitudine di paesaggi che cambiano in pochissimi km come Jokulsarlon dove i ghiacci che si staccano dal ghiacciaio intraprendono una danza all’interno della laguna finché diventano abbastanza piccoli da passare all’oceano aperto e mescolarsi all’acqua. È un luogo dove sono tornata anche la seconda settimana verso sera tardi, l’unico momento in cui, con poche anime, si ha la fortuna di sentire questi ghiacci che si incagliano sulla sabbia nera e che cullati dal sottofondo delle onde dell’oceano cantano scricchiolando come pop corn. Dopo i ghiacci la maestosità dei vulcani e delle fumarole al Krafla. La spaccatura America – Europa visibile a Thingvellir, dato che l’Islanda é una porzione emersa della dorsale medioatlantica.
La potenza del Geysir ed un passo che adoro: il passo Oxi. E’ un passo all’est dell’isola dove si trova qualche curva, sterrato ben messo e un paesaggio lunare. Ahimè quest’anno abbiamo trovato nebbia che ci ha obbligato a rallentare parecchio, non vedendo a piu’ di un palo di distanza. Il giro con un’ottima compagnia è finito il 15 Agosto con 2800 km macinati in scioltezza.
Il primo giorno di ferie l’ho battezzato con un bel caffè di moka sulla spiaggia nera vicino a Vik: fornelletto portatile a gas, moka e miscela di caffè che mi portavo da una settimana in giro per l’isola; un momento di puro relax con un sole fantastico e delle pulcinelle di mare che pescavano.
E qui il momento tanto atteso da un’anno: il mio primo off impegnativo nell’isola. Non pensavo che sarei riuscita a realizzare questo piccolo diamante che mi portavo dentro.
Ero felice ma comunque titubante della riuscita. Controllando il meteo ho visto che il giorno seguente sarebbe stata una giornata ottima: sole, poco vento e clima accettabile. Un consiglio che mi sento di darvi è di controllare sempre il giorno prima il meteo sul sito ufficiale dell’isola. Insieme alle altre guide di Islandainmoto, ormai tutti in ferie, abbiamo deciso di andare al Landmannalaugar. La strada tipica da percorrere è la Ring road che poi diventa 26 e la F225. Invece noi abbiamo optato per un sentiero (nelle cartine sono le linee tratteggiate gialle che denominano una strada di difficile percorrenza e che non sempre corrispondono ad ogni anno, questo perché le piste vengono create di anno in anno dopo la scomparsa della neve). Per poi unirci alla 262 e alla F210, entrando nel sentiero tratteggiato di Langviuhraun per poi sbucare sulla F225; il ritorno abbiamo cambiato strada con la F208 che consiglio con un totale di 280 km e 22 guadi (nella cartina non vengono segnati tutti i guadi ma solo quelli più alti e pericolosi con un cerchio blu con all’interno una V).
Con la prima pista siamo entrati in una proprietà islandese facendo attenzione a chiudere i cancelli al nostro passaggio per far sì che non uscissero le pecore. Dopo qualche km di strada bianca mi sono resa conto della tensione che avevo addosso e ho pensato alla preparazione che ho fatto, che la giornata non poteva andar storta e mi sono rilassata. Effettivamente la prima impressione non era sbagliata. La prima zona era piena di difficoltà che non conosco: sassaie con guadi profondi e un ammasso di neve che bloccava la pista. Quest’ultimo non era visibile da lontano in quanto era appena dopo ad un valico su una pista veloce ed ho dovuto capire rapidamente dove passare per evitare il ghiaccio. Ho puntato sulla parte sx anche se era di pura sabbia morbida con canali scavati dall’acqua. L’unica cosa che ho pensato è di far scorrere il motociclo e cercare di non infilare la gomma da 21 in uno di quei canali. Mi sono trovata alla fine della discesa pensando che il tragitto era più complicato del previsto, ma mi stavo divertendo. Grazie a questi passaggi siamo riusciti a vedere un paesaggio che non toglierò mai dal cuore: da terra rossa con muschi e neve a terreni lavici neri costellati dal blu dei ruscelli e il verde fluorescente dei muschi vicino ad essi. Assetati, abbiamo bevuto tranquillamente l’acqua purissima di un ruscello: per noi una rarità ma non su quest’isola.
Durante il percorso abbiamo trovato molti guadi. Su questo fronte ho visto molti errori da parte dei motociclisti (che feci in passato anch’io) e mi piacerebbe spiegare come dovrebbero essere affrontati in questi luoghi. Appena si arriva alla fine della pista di fronte al guado è bene capire dove sta l’uscita e disegnare una linea retta che porta al di là del corso. Siccome la maggior parte dei veicoli fa questa traiettoria (anche mezzi di un certo peso e a 4 ruote) e calcolando la capacità della corrente di trasportare la ghiaia verso valle, bisogna attraversare il fiume più a valle possibile, dove la ghiaia si sedimenta rendendo più basso il guado. Se invece, il letto del torrente è di sassi più grossi, il guado può essere attraversato ovunque (evitando comunque il centro dove si possono trovare canali creati dai veicoli). In questi guadi mi sono divertita moltissimo, anche se alcuni erano molto profondi e per qualche istante l’unico pensiero è stato la caduta.. ma piedi sulle pedane e gas!!
Ho fatto fatica a finire il giro perché fisicamente é stato decisamente provante perché probabilmente dopo i km della prima settimana, un off di quel livello era troppo senza una pausa. Gli ultimi 40 km ho costretto i miei compagni ad una pausa caffè in un rifugio isolato dal mondo per riprendere un po’ di forze e per scaldare le mani che non sentivo piu’ dal freddo. Qui ho visto quanto devo ancora migliorare. A parità di mezzi, la mia forza non può comunque essere paragonata a quella di un uomo. E’ un punto di partenza per cercare di migliorarmi sulla forza delle braccia e sull’equilibrio delle gambe per non andare troppo sotto sforzo. E’ anche da calcolare che la moto di per sé pesa piu’ di 200 kg, ma non potevo sicuramente optare per un endurino! Certo una moto leggera monocilindrica renderebbe tutto piu’ facile..ma poi ci sono tanti km da fare anche con il vento contro e una certa potenza è necessaria.
In questa giornata, insieme ai momenti di clima più ostile nelle 2 settimane, ho dovuto anche far fronte alla parte emotiva. Sembra una banalità ma è già successo di trovare compagni motociclisti bloccati dalle proprie paure e non riuscire ad andare avanti. Cercare un controllo della mente capace di non farci condizionare dai nostri stessi pensieri è piu’ facile a dirsi che a farsi. Questi blocchi e il dire “non ce la posso fare”, non sono altro che riproduzioni iterate e automatiche di pensieri portatori di qualche tensione o paura su qualcosa che il nostro cervello ritiene pericoloso per la nostra salute. Detto questo, l’importanza la si può evincere anche da quello che penso ogni volta che apro il garage per uscire con la moto: bisogna sempre tornare a casa. Non nego che la fisicità di una donna incrementa queste problematiche. Sentiamo prima la fatica, la forza è diversa, i pensieri sono diversi.. però una cosa è comune tra uomini e donne: l’essere motoviaggiatori. Una parola che non vuol dire essere esperti piloti, ma sapersi adoperare e destreggiare in ogni circostanza! Che si tratti di strada, problemi vari, clima e solitudine. Ebbene si, in quest’isola non è raro trovarsi in solitudine. Situazione con pregi e difetti. Ti obbliga ad ascoltarti e a percepire quello che ti capita attorno. Questo senso di solitudine (che siamo andati a cercarle nella parte dei fiordi dell’ovest) sono momenti dove ti concentri su’ ciò che stai facendo, sulle vibrazioni del bicilindrico sotto di te, piccoli momenti di puro ascolto (non solo con gli occhi ma con tutti i sensi) dell’ambiente intorno a te. In poche parole posso definirla come la mia sensazione di essere viva.
I giorni seguenti ci siamo diretti verso ovest. L’immagine che può far percepire la bellezza di questo luogo sperduto è una fabbrica di aringhe abbandonata negli anni 70 ad Eyri vid ingolfsfjord. Un luogo dimenticato dal mondo, dove nessuno passa poiché è una strada sterrata senza uno sbocco: finisce nel nulla in un fiume. Spegnere il bicilindrico al porto della vecchia fabbrica mi ha messo subito a contatto con la natura, con la solitudine di quel luogo dove l’ambiente si sta riprendendo i terreni occupati dall’essere umano. Una solitudine poi interrotta da una foca nella baia che controllava che cosa curiosa fossimo. È impossibile non sentirsi felici in un momento come questo.
Una parte dell’ indiscutibile bellezza dell’Islanda è anche costituita dalla difficoltà che incontri per poterla girare. Secondo me la parte che ha più rilevanza in questo senso è IL VENTO.
Sostengo questa tesi perché non è quello che conosciamo noi. Anch’io al mio primo viaggio non gli ho dato il peso che invece dovevo dargli. In quest’isola il problema non è dato dal vento forte costante, ma dalle folate che si possono presentare improvvisamente. Il vento sopra i 10 m/s può iniziare ad essere rognoso per la guida. Veri e propri schiaffi che vanno da destra a sinistra e che non puoi prevedere. Il Ténéré 700 è adatta ai diversi tipi di terreno ma è anche una moto a baricentro alto ed è abbastanza leggera. Queste caratteristiche, unito allo scarso peso della sottoscritta e dei bagagli non giovano con il vento. Quando si capisce che sei in una zona di folate a volte sembra di dover domare un toro; in questi momenti ho adorato la scelta del tubo al posto del bauletto! In quest’isola non sempre c’è vegetazione che ti avverte del nemico invisibile, per questo è buona norma controllare i cartelli che indicano la velocità del vento e anche l’entità della forza delle folate. Qui si deve usare il tatto, non la vista. Sentire il vento come si modella sul proprio corpo, sul casco e come modifica la traiettoria delle gomme. Un giorno della seconda settimana, in assenza di vegetazione mi sembrava di prendere continuamente schiaffi da diverse direzioni, non capir più da dove potermi aspettare una folata. L’unica possibilità è stata rallentare il giusto (andare troppo piano è deleterio come andare troppo forte, bisogna cercare la classica velocità di stallo), non andare nel panico nella mia testa e prendere la sicurezza necessaria ascoltando la simbiosi mia tra uomo e macchina.
Finalmente ho raggiunto questo binomio. Sentire come la Ténéré 700 raspava in avanti per portarmi fuori da quel punto nemico. Purtroppo è quasi impossibile allenarsi a questo tipo di evento atmosferico in Italia. Un altro aiuto oltre ai cartelli è la conoscenza del luogo. Esistono zone dove le folate sono quasi perenni, un esempio è la zona di Vik. Un’altra possibilità, anche se di difficile attuazione, per percepire l’arrivo di folate e vento è tenere sempre presente la vegetazione, la conformazione delle colline laviche e la fauna. Un’allerta possono essere i gabbiani immobili nel cielo che sfruttano le correnti ascensionali o, come mi è successo, vedere con la coda dell’occhio tre pecore che si riparavano dietro a dei massi.
Si riparavano dal vento? Nel dubbio mi sono preparata… oggi ringrazio ancora quelle pecore per la folata che poco dopo mi stava aspettando. Lo vedo come un qualcosa di difficile da tenere controllata, perché spesso ci si rilassa nel guardare paesaggi mozzafiato con strade quasi completamente dritte, togliendo l’attenzione ai pericoli invisibili. Devo ammettere che durante la mia permanenza sull’isola è stata la mia preoccupazione maggiore. La fortuna è che l’allerta meteo l’ho trovato solo in 3 giornate su 15. In una di queste il vento, aveva già iniziato la notte ad essere molto forte e la sentivo dalla camera dove dormivo. Devo ammettere, che dopo aver controllato il meteo, ho tremato qualche minuto al pensiero di dovermi mettere al mattino in sella. Una giornata che fortunatamente si è conclusa solo con dolori fortissimi alle braccia a forza di controllare la moto e niente di più.
Concludo questo piccolo viaggio con il cuore che batte così forte da essere più rumoroso delle gomme tassellate sull’asfalto islandese. Finalmente posso dire di aver coronato il sogno di affrontare alcuni tratti dell’isola grazie ad un motociclo idoneo, al giusto bilanciamento dei bagagli e alle gomme che hanno concluso i 4.900 km con ancora battistrada, soprattutto la gomma posteriore è poco meno di metà vita, prova che era adatta a darmi sicurezza sui diversi tipi di terreni che mi si sono presentati. La Ténéré 700 durante il viaggio ha avuto solo un problema al sensore di sicurezza del cavalletto (niente di grave visto che è bastato solo tranciare i fili del sensore e la moto poteva tranquillamente continuare il suo viaggio) ed un problema alle tenute delle forcelle che dopo giorni di viaggio hanno ceduto iniziando a far trafilare olio. Questo fenomeno non è raro in questo tipo di viaggio su qualsiasi moto: la sporcizia data dal clima e dalle strade porta ad un normale cedimento delle forcelle. Sia su on che off ho avuto la sicurezza necessaria e posso dire che la mia sensazione di una moto equilibrata e versatile per utilizzo è diventata realtà.
Sicuramente devo ancora migliorare invece come motociclista per poter affrontare l’altro desiderio .. andare nelle zone di sabbia sull’isola! Working in progress! Sono comunque sulla buona strada! Auguro a tutti di poter mettere le proprie ruote su questo magico luogo. Sembra un itinerario come un altro sulla carta poi in verita’ si rivela un viaggio anche all’interno delle proprie paure e i propri limiti. Al giorno di oggi vedo sui social tante donne che si mostrano come fortissime ovunque.. io dico che mi sono sentita piccola e debole, ma ho anche capito che con il giusto percorso di tecnica, esperienza, corretto equipaggiamento e moto posso arrivare ovunque.