Motospia

NON ESISTONO MOTO DA DONNE, MA SOLO DONNE DA MOTO

Continua il percorso di Bella Litinetski nel mondo del design delle moto con un occhio femminile, un’analisi che ci auguriamo sia da spunto per i responsabili marketing e tecnici delle case motociclistiche, non tanto per fare moto da donna, ma per realizzare motociclette che tengano conto anche “della altra metà del cielo”

Facili, pulite, che non necessitano di tanta manutenzione. Come abbiamo visto nell’articolo precedente, sono queste le moto che vengono proposte alle donne per attrarrele al mondo del motociclismo. La moto è pericolosa, a volte sporca, la sua meccanica scoperta con il suo aspetto grezzo può intimidire. La conclusione logica è che per far avvicinare le donne a questo mondo, bisogna ammorbidire, addolcire e coprire il mostro “moto” con un morbido strato di plastica. Ma se il desiderio non fosse quello di poter prendere cura di un agnello, se fosse proprio quella voglia di incontrare un lupo e domarlo, quella che spinge tutti noi verso il mostro ruggente con la sella e le due ruote?

Non è un caso che le moto più desiderate dalle donne hanno nomi come Monster, Diavel oppure delle supersportive con tanti “X” e tante R nel nome. Le motocicliste, anche se si rendono conto di dover iniziare con qualcosa di facile (come tutti tra l’altro) puntano il mirino proprio verso le moto più performanti, spesso le più “inadatte”.

Perché andare in moto è anche questo, sfidare se stesse per esplorare nuovi paesaggi, non solo nella natura ma anche nella propria mente, nella percezione di se stesse e delle proprie capacità. Per tante donne l’atto di possedere e gestire una moto è proprio questo: l’espressione fisica ed oggettuale di autonomia e libertà, la sensazione di potere e orgoglio nel saper gestire un mezzo meccanico potente. Infatti queste sensazioni dipendono in maniera diretta dalla sconfitta della paura ed il superamento degli ostacoli fisici (la tecnica di guida, il peso della moto, l’impegno economico) e quelli immateriali come i pregiudizi, la propria visione di se stesse e l’avversione al rischio.

moto da donna
La Ducati Diavel 1260, m.y 2019

Il paradosso delle cafè racer

Mentre l’industria stava cercando un modo per far avvicinare le donne alle moto, esse si rimboccarono le maniche e andarono in giro per garage e mostre scambio per cercare qualche moto vecchia da restaurare. È stato lo strano caso delle cafè racer che ha fatto riflettere di più sul fatto che le moto progettate specificamente per le donne non riuscivano ad attirare l’attenzione del target desiderato. C’era qualcosa di particolare nello stile di queste moto classiche, che ha colpito particolarmente anche il pubblico femminile, e presto tutte le case motociclistiche si sono adeguate, offrendo delle Modern Classic nella loro gamma.
Ci erano riuscite le moto vecchie, che all’epoca non erano minimamente considerate adatte per il pubblico femminile, a far nascere la passione per le moto in tante donne in questi ultimi anni.

moto da donna
foto Idan Greenberg

Quindi, qual’è la premessa che in così tanti abbiamo sbagliato? Tra manager, giornalisti, designer e commerciali? Abbiamo sbagliato proprio l’idea fondamentale: quella che le donne, per forza, vivono la moto in modo diverso.

In realtà non è così. La realtà è che le emozioni che proviamo in sella alle nostre moto sono più simili che diverse, che non vediamo la moto come oggetti da usare ma come estensione del nostro corpo e della nostra mente. Che sì, le dimensioni fisiche ed i baricentri possono cambiare ma tutte queste sono solo tecnicità, e quello che importa davvero è la capacità delle moto a farci sognare.

Abbiamo sbagliato a pensare che la divisione passa tra Uomo e Donna invece che tra Motociclisti e non.

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