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LA FORZA DEL CORAGGIO, Ombretta Buonguerzoni

Ombretta Buongarzoni costruisce la propria esistenza giorno per giorno, come meglio desidera. Grazie alla passione per la motocicletta ha affrontato le proprie paure con coraggio e ha saputo inventare il proprio destino.

Viene da Urbisaglia, un paese di duemila anime in provincia di Macerata, nelle Marche, la ‘terra di mezzo’ come ama definirla. Svolge un’attività che le permette di esprimersi attraverso l’arte: è pittrice e da qualche anno anche tatuatrice, ma prima ancora cantante, teatrante, custode di ovini al pascolo e tanto altro ancora. Le piace definirsi nomade.

Ombretta Buonguerzoni

– Ombretta, raccontaci della tua passione per le due ruote.
«A 9-10 anni andai a una gita scolastica in un parco giochi, vidi due chopper e due Harley Davidson e fu subito amore. In famiglia ero svantaggiata perché non c’era cultura motociclistica quindi se parlavo di moto mi deridevano. Ho custodito il desiderio della moto per anni, la notte sognavo di viaggiare nella mia terra con un’Harley di cartone perché non potevo permettermene una vera. Sono trascorsi gli anni, un figlio cresciuto da sola, le responsabilità della famiglia, lavori precari ecc., fino a quando mi sono accorta che il tempo era volato. Progettai una moto a tre ruote per essere certa di avere la forza di guidarla. Poi un giorno conobbi una donna di 64 anni la quale mi raccontò che, a 55 si era separata dal marito e invece di legarsi a un altro uomo si era comprata la moto e aveva viaggiato in Italia, Europa, Africa e altri Paesi. Così mi decisi: a 47 anni ottenni la patente e oggi, a 51, so di avere fatto una delle scelte più appaganti della mia vita».

LA FORZA DEL CORAGGIO
– Hai avuto difficoltà?
«Mio fratello maggiore non mi parlò per due mesi; mia madre, se fosse stata in salute, credo mi avrebbe fatto da zavorrina; per mio figlio avere una mamma motociclista, pittrice e tatuatrice, è motivo di orgoglio. I miei amici e conoscenti mi consideravano un’incosciente con la mania di una cosa impossibile e oltretutto maschile. È stato difficile anche acquistare la moto perché non avevo uno stipendio, ma ho sempre creduto nel detto: “Attenta a ciò che desideri perché poi l’universo si attiva affinchè si realizzi”. E l’universo ha lavorato per me».

Ombretta Buonguerzoni

 

– Qual è stata la tua prima moto? Ne hai avute altre?
«Fu una Honda CBF 500 che tenni per 6 mesi e 8000 km poi acquistai la mia attuale Honda VT 750, un’anima gemella con cui ho già percorso 36000 km. É affidabile e fedele, un po’ dura e pesante, sa farmi superare paure e dubbi. So fare un po’ di manutenzione come ingrassare la catena e tirare la frizione ma se avessi contrattempi meccanici anche lievi non saprei dove mettere le mani e ciò non mi piace. Non è adatta a percorrere gli sterrati però oggi, dopo aver guidato la moto da trial di un amico, se mi capita li affronto e arrivo a destinazione».

Ombretta Buonguerzoni
– Hai creato un gruppo di motocicliste. Perché?
«Perché avere a fianco altre donne dà coraggio. Attraverso internet scoprii che nel mio territorio vivevano molto motocicliste. Ci unimmo in gruppo, all’inizio fummo 6-7, poi diventammo ‘Le Sibille’, il primo Moto Club femminile FMI in Italia con 40 iscritte. Ci sostenevamo una con l’altra, stimolavamo e incoraggiavamo altre donne. Le ragazze sono più scaltre, le donne della mia età hanno timori e dubbi e spesso non sono sostenute dalla famiglia o da chi gravita intorno a loro. Oggi il Moto Club non esiste più ma è stata un’esperienza che avrò sempre nel cuore e da cui sono nate amicizie importanti».

Ombretta Buonguerzoni
– Cosa significa viaggiare in moto?
«É quasi sacro come camminare. E di km a piedi ne ho fatti tanti! Vivo il viaggio come una meditazione, non cerco la piega o la pista ma viaggio con tranquillità e forse per questo prediligo le custom perché rispecchiano il mio essere, il lato selvaggio e nomade che mi appartiene fin dall’infanzia».
– Quali sono stati i viaggi più importanti?
«ll primo è del marzo 2015, avevo appena acquistato l’Honda VT 750 e volevo fare il primo viaggio di 400 km da sola. La sera prima della partenza, giocando con mio figlio, mi lussai le costole, ma la mattina dopo partii ugualmente, munita di antiinfiammatorio e sotto una pioggia interminabile. Percorsi i primi 100 km insieme con un’amica la quale mi cambiò i calzini durante una sosta in autogrill perché ero intrisa di pioggia e congelata. Percorsi i restanti 300 km sotto la pioggia, con le lacrime agli occhi dalla gioia o forse dal dolore che mi causava la lussazione.
Due mesi dopo feci il secondo viaggio con mio figlio, il mio primo zavorrino: 1700 km in 4 giorni, in giro per l’Italia. Ne conservo un bel ricordo e quando ne parliamo ci emozioniamo ancora».

Ombretta Buonguerzoni
– Quali altri viaggi vorresti fare?
«Attraverso l’Europa, la meta non ha importanza, è importante il viaggio. Mi piacerebbe farlo con 1-2 amiche e senza navigatore».
– L’esperienza che non vorresti mai più ripetere?
«Un incidente che, per fortuna, non fu grave grazie alle protezioni e agli stivali di qualità. Caddi dietro una curva e ruzzolai sull’asfalto per parecchi metri, ma mi rialzai e risalii subito in sella per impedire alla paura di avere il sopravvento. Da allora ho cambiato stile di guida e sto cercando di ritrovare il mio equilibrio».
– Nelle tue opere artistiche c’è spesso la motocicletta…
«Dipingo prevalentemente donne, la loro anima, quello che non è percepibile alla maggioranza degli uomini. Quando rappresento la moto non dipingo solo una parte meccanica ma cerco l’anima nelle cromature, nelle curve sinuose di un manubrio, nella morbidezza della linea di un serbatoio, nel calore di una sella».
– Se guardi nel tuo futuro cosa vedi?
«Talvolta m’immagino vecchia, seduta davanti a un camino a narrare storie di viaggi in moto con altre compagne di viaggio. Penso spesso ai limiti che ci poniamo e che la società ci pone, e a come ci adattiamo quindi cerco di incoraggiare le donne come me che vogliono iniziare questa magnifica avventura. Basta una condivisione, l’entusiasmo contagioso, un racconto, svelare le proprie paure, convincere che tutte abbiamo dovuto metterci in discussione. Da sole a volte è difficile ma il calore di tante donne crea forza, e l’energia di cui dobbiamo nutrirci. La vita è unica e siamo le sole artefici della nostra felicità. É nelle nostre mani e se le nostre scelte non ledono nessuno, possiamo fare ciò che vogliamo. Dobbiamo costruirci l’esistenza che desideriamo».

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