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Himalayan, slow riding definitivo Lo scrittore siciliano Marcello Ingrassia ci racconta la sua personale evoluzione di "Slow riding" con la piccola di Casa Royal Enfield. Alla riscoperta di una terra fantastica dalle 1000 sorprese, se vai piano...

Himalayan. In passato, ho condiviso su queste pagine l’evoluzione della mia “filosofia” motociclistica. In particolare, la recente rivalutazione delle piccole cilindrate come un ritorno al godimento della dimensione lenta del mototurismo. In preda al sacro fuoco slow, avevo anche acquistato una Honda CB 125 F, con la quale ho attraversato la Sicilia ed esplorato zone che conoscevo già bene, scoprendo che a 50 all’ora gli scenari offrono un livello di dettaglio del tutto nuovo, immersivo e piacevole. Ma la piccola Honda, per quanto volenterosa e dai consumi degni della crisi economica che stiamo attraversando, aveva dei limiti evidenti. Uno era costituito dalle sospensioni, estremamente economiche e poco adatte a supportare un’ottantina di chili in sella con una guida che non fosse solo necessità di spostarsi da A a B spendendo poco. Inoltre, su strade frequentate anche da un traffico veloce, la sensazione di vulnerabilità era tale da rendere molto meno godibile il viaggio. Avanti veloce (se si può dire, in questo contesto) di un anno, in cui sono passato sulla sella di una CFMOTO 300 NK, economica e piccola, molto ben fatta. Troppo rigida per i miei residui dischi intervertebrali. A fine giugno 2022 l’ho cambiata, in favore di una Royal Enfield Himalayan. Una moto che mi aveva sempre affascinato, ma i cui difetti di gioventù mi avevano dissuaso dall’avvicinare, essendo portatore di gravi intolleranze alle perdite d’olio e di bulloneria varia. Le ultime serie hanno beneficiato dei passi da gigante percorsi da Royal Enfield in termini di qualità costruttiva, per cui mi sono deciso ad accogliere la Himalayan nel mio garage, a fare compagnia alla Ténéré 700 Rally Edition che ci abita da due anni e 40.000 km. Ma quella è un’altra storia.

Himalayan

Himalayan. Chiarite le premesse, posso raccontare degli oltre 3.500 km trascorsi insieme alla piccola indiana.

Per i miei 189 cm, la moto è decisamente bassa. Tuttavia, la posizione di guida risulta naturale e le ginocchia, non troppo piegate, non interferiscono con i tubi di ferro a protezione del serbatoio, spostati in avanti con l’ultimo restyling del 2021. La sella, che nella stessa occasione è stata modificata per offrire più sostegno, resta comunque troppo morbida e cedevole. La strumentazione è costituita da elementi analogici, ma con l’addizione del “tripper”. Unica concessione visibile alla modernità, è un piccolo schermo circolare che, connesso via Bluetooth con il cellulare e dopo aver scaricato l’applicazione dedicata, offre le indicazioni ricavate da Google Maps. Una comodità notevole per chi si muove in contesti non ben conosciuti.

Qualche cenno sul propulsore…

Il monocilindrico da 411 cc, raffreddato ad aria, a freddo si avvia con una piccola incertezza, che sparisce subito per lasciare il campo a quel pulsare discreto che fa tanto anni ’90. La frizione soffre di un cavo non scorrevolissimo, ma lo stacco rimane abbastanza preciso. Una volta in movimento, l’eccellente bilanciamento della moto permette di dimenticare il peso, poco superiore ai 200 kg. Il cambio a 5 marce è morbido ed anche preciso, se usato con la lentezza che è connaturata a questa moto e che mi porta al tema principale di quest’articolo. Perché la moto è lenta, inevitabilmente. Eroga 24 cavalli quando spremuto al massimo, il che sembra un atto di violenza. Poiché è pur sempre un 400 a corsa lunga, quando si incontra una salita, se lo ricorda e spinge senza bisogno di scalare. Resta fluido, senza pistonare in maniera vistosa anche quando, in quinta, si scende anche sotto i 50 km/h. I consumi, con uno stile di guida morbido e rilassato, oscillano fra i 36 ed i 39 km con un litro.

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Himalayane qualcuno sulla ciclistica

La ciclistica è veramente sana, seppure non certo sofisticata. Telaio, sospensioni e pneumatici lavorano in eccellente accordo sull’asciutto, consentendomi quel godimento in curva che con la piccola Honda 125 era difficile da raggiungere. Il vero neo sono i freni, con l’anteriore che brilla per la sua delicatezza che sconfina nell’assenza. Il disco posteriore ha più mordente, meglio usare entrambi. In ogni caso, si dovesse esagerare su fondo viscido, l’ABS provvede a metterci una pezza. Dopo qualche momento iniziale di terrore ad un incrocio, mi sono abituato anche a questa caratteristica.

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Sensazioni di guida: apre una porta sullo slow riding

Acquistata quasi per gioco, mi sono scoperto sempre più attratto verso la Himalayan. Tanto da preferirla alla Ténéré in diverse occasioni, con un misto di senso di colpa e d’incredulità per il mio stesso gesto. Eppure è così: si sale in sella, si mette in moto e si va. Scoppiettando gioiosamente, con la quinta innestata che serve dai 50 ai 90 km/h senza alcuna vibrazione, pennellando curve sulla copia marchiata CEAT dei Pirelli MT60. Pian piano (è il caso di dirlo) ho iniziato a capire che questa moto poteva essere quella specie di Graal dello slow riding che avevo iniziato a cercare anni fa.

Himalayan. Non è certo perfetta, ma si fa perdonare i nei…

Capace di arrampicarsi ovunque con un pilota anche inesperto, grazie alla seduta bassa ed al motore dall’erogazione soft. Mi si passi l’eufemismo. Semplice. Senza pretese. Le finiture sono accettabili, non ci sono difetti che fanno gridare allo scandalo. La mia ha, in oltre sei mesi, mostrato un paio di imperfezioni: il soffietto sullo stelo destro della forcella che non si estende bene e quando si mette la moto sul cavalletto si ritira come un calzino troppo corto. E la strumentazione che, in giornate fredde, si appanna con un po’ di condensa. All’inizio, il mio lato D.O.C. (nel senso di ossessivo compulsivo, non d’origine controllata) si è ribellato. Ma poi anche lui ha ceduto al fascino di una moto che costa davvero poco e che offre tanto in termini di benessere. Il soffietto lo estendo con un gesto fluido ogni volta che parcheggio. La nebbiolina che disegna forme morbide dentro il tachimetro scompare dopo alcuni chilometri. Quasi mi sto affezionando a questi difetti che segnano una precisa personalità senza creare fastidi concreti alla guida o alla sicurezza. La vita è bella, va tutto bene. No stress.

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Piano piano (ovviamente) è entrata nel mio quotidiano

Esco di casa per rilassarmi e viaggio serenamente fra 70 e 80 all’ora, guardando il mare, seguendo le curve della costa. Abbastanza veloce da non avere paura del traffico sulle statali, abbastanza lento da non perdere quello scorcio di panorama che mi si offre dopo la curva. Respiro. Mi sorprendo a sorridere mentre guido in un posto sperduto e senza coscienza di dove sto andando. Vado per il gusto di andare. Quando sono stanco oppure le incombenze del quotidiano mi richiamano al dovere, prendo la via del ritorno.

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Himalayan. Ho trovato un tesoro?

Vero, oltre i 100 km/h le vibrazioni iniziano a farsi sentire. Ma che bisogno c’è di andare così veloce? Si ridefiniscono i parametri di ciò che è piacere. Mi scopro a desiderare di partire con lei, senza limiti di tempo, senza itinerari precisi, senza programmare soste, pasti, pernottamenti. Senza costrizioni. Se potrò, un giorno lo farò, lo metto ai primi posti nella mia lista dei progetti onirici. Al momento, mi godo la semplicità di giri insensati come itinerario eppure sensatissimi in quanto all’effetto che hanno su di me. Non ho dati numerici a supporto, ma sono sicuro di non essere l’unico socio di questo silenzioso, lentissimo club dello slow riding. Ci vediamo sulla strada. Senza fretta. Col sorriso.

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