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Mototurismo da coronavirus: da Roccapalumba a Scopello

Dopo aver visto le stelle — nel modo migliore — a Roccapalumba, ci spostiamo ancora ad ovest, ritrovando il mare.

A Roccapalumba abbiamo potuto ammirare le stelle. In agriturismo abbiamo fatto a meno di quelle Michelin in favore di una cucina concreta ma tutt’altro che rozza, dove i sapori offerti dalle materie prime locali hanno tratto giovamento dall’abbinamento ad una delle tante bottiglie di qualità presenti nella cantina ben fornita del ristorante. Il risveglio fra i monti ha il suo perché, ce lo godiamo insieme all’aria tersa ed al silenzio. La voglia di mettersi in sella è tanta, ma la filosofia del giro, improntato al godimento ed al relax, deve convincerci a non forzare i tempi della ricca colazione. Una volta lasciato l’agriturismo, ci dirigiamo verso Roccapalumba, coprendo i pochi chilometri già fatti il giorno precedente verso l’Osservatorio. Stavolta però non ci fermiamo e proseguiamo sulla SS285, tortuosa statale che si arrampica sui monti e, curva dopo curva, ci porta a Caccamo.

Il primo castello di oggi lo troviamo a Caccamo. E non è di poco conto!

Molto lentamente, ma lasciando godere l’occhio di panorami di alta collina, ricchi di macchia mediterranea, frumento e degli onnipresenti alberi d’ulivo. L’attraversamento del paese, sulla stessa statale, ci porta nei pressi del Castello.

 

Si tratta di un’imponente costruzione difensiva normanna, risalente al XII secolo, probabilmente costruita sul sito occupato già da una torre di avvistamento araba. Su uno sperone roccioso a 500 metri di altitudine, guarda verso la vallata e l’invaso artificiale sottostante, dal poetico nome Rosamarina.

Ci si può fare tentare da una sosta, anche solo per vedere la Sala della Congiura. Quella in cui, nel 1160, alcuni baroni normanni ordirono un complotto contro Guglielmo I di Sicilia che, però, lo sventò sul nascere. Tuttavia, la gravità è una forza che alla lunga è ineluttabile. Poiché da Caccamo la SS285 scende fino al livello del mare di Termini Imerese, opporci non è possibile. Seguiamo il tracciato, godendoci la vista del lago e poi arrivando ad incrociare l’autostrada, che può essere una delle opzioni per andare verso occidente. Io la scarterei, però.

La SS113 offre la lentezza e la vista sul mare che ci servono.

Alla nostra destra riprende lo spettacolo azzurro del Tirreno, che ieri ci aveva accompagnato nei pressi di Santo Stefano di Camastra. Attraversiamo i paesi che sono dimora estiva di tanti palermitani: Trabìa, San Nicola l’Arena, Altavilla Mìlicia. Il mare è bellissimo e se ne può fruire in una delle tante insenature di cui è disseminato il litorale. Superato l’abitato di Casteldaccia, abbiamo davanti il grande promontorio di Capo Zafferano, con il bel faro di recente restaurato e recuperato alla fruizione tramite la concessione ad un’azienda privata. A pochissima distanza dal faro, le belle località costiere di Santa Flavia, Porticello, Aspra.

Come ovunque in Sicilia, non mancano nemmeno le rovine di civiltà antiche. Queste sono della città di Solunto, probabilmente fondata dai Sicani, ma attribuita anche ai Fenici. Se tutto questo ci sembra ancora poco, basta entrare nel paese che ci sta di fronte: Bagheria. Noto per aver dato i natali al pittore Renato Guttuso ed al regista da Oscar Giuseppe Tornatore, che ne raccontò alcuni decenni di storia nel suo film Baarìa. Proprio il nome del paese in siciliano.

Entro nella Villa dei Mostri, almeno per una volta ho una chance di essere il più bello!

Bagheria, conosciuta anche per le sue splendide ville barocche, costruite fra il XVII ed il XVIII secolo e nei più svariati stati di conservazione. Una sosta s’impone e il nostro lato bambinesco ci fa scegliere la più fantasiosa fra tutte: Villa Palagonia.

E’ detta anche la Villa dei Mostri perché ornata da decine di statue in calcarenite che rappresentano figure variamente deformi o vagamente diaboliche. Delle sculture è stata data anche un’interpretazione in chiave alchemica. Le 62 che rimangono e le tante che sono andate perdute (originariamente erano circa 200) impressionarono Goethe, che visitò la villa nel 1787 e ne descrisse l’eccentricità nel suo Viaggio in Italia.

Non ne parla in maniera lusinghiera, dichiarandosi in qualche modo scosso dall’eccesso di asimmetrie, di linee ingannevoli che tolgono il riferimento della verticalità e dell’ortogonalità, fondamenti delle nostre certezze quotidiane. Proprio quelle che il principe di Palagonia intese smantellare con la costruzione della sua villa. Vale la pena di replicare la visita di Goethe e riempirsi gli occhi di qualcosa che la presunta razionalità del nostro tempo forse non permetterebbe più. All’uscita della villa, la moto e le sue simmetrie ci dicono che gli effetti della visione distorta del principe restano circoscritti alle mura della villa. Lasciamo Bagheria per continuare il nostro percorso verso ovest.

Una decisione va presa: Palermo o non Palermo? Sgombriamo il campo dagli equivoci: Palermo va vista. Ma non oggi.

È un obbligo, altrimenti si perde una parte essenziale della Sicilia. Ma io sostengo che andarci in moto abbia un senso limitato. Nel corso di un giro del genere è meglio lasciarla fuori e dedicarsi ad altro rinviandone la visita ad un’altra occasione, in cui dedicarsi ad esplorarla a piedi, attraversandone i quartieri storici, ritrovando le strade ed i vicoli così bene descritti da Luigi Natoli nel suo “I Beati Paoli” e nei volumi che ne rappresentano il sequel. Dedicare a Palermo un giorno sarebbe fare violenza alla città, un po’ come ridurre la visita del Louvre ad una fugace occhiata alla Gioconda. Non sorriderebbe più nemmeno lei, se lo sapesse. Per cui, senza snobbare, per oggi passiamo. In tutti i sensi. In primis, passiamo la mano, cioè non entriamo a Palermo.

Ma passiamo anche nel senso letterale, perché per proseguire la nostra esplorazione della Sicilia occidentale, un (p)assaggio del traffico cittadino è inevitabile. Facciamo quindi conoscenza, per qualche chilometro, con una celebrità: viale della Regione Siciliana. La lunga circonvallazione, oltre che indispensabile, è famosa per essere una delle strade più trafficate del mondo, secondo i rilevamenti di un noto costruttore di navigatori satellitari. Con la moto, tuttavia, si riesce a venirne a capo in maniera dignitosa, nel rispetto del limite di velocità, controllato con numerosi e (magari troppo) efficienti autovelox.

All’altezza di Corso Calatafimi, inoltre, abbandoniamo l’arteria per dirigerci verso l’interno. Pochi chilometri ci portano a Monreale, paese che guarda Palermo da un belvedere posto a 300 metri di altitudine. Vanta un territorio sterminato, che ne fa il sesto comune d’Italia per estensione. Il che lo rende appetibile in caso di pandemia, quando gli spostamenti sono limitati ai confini comunali. Si soffre meno…

A Monreale per vedere il Duomo, una meraviglia patrimonio dell’UNESCO.

Ma quello che rende speciale questo paese da quasi 40.000 abitanti è un capolavoro: il suo Duomo. Costruito nella seconda metà del XII secolo, colpisce già dall’esterno. Che è niente rispetto a quello che aspetta il visitatore, una volta varcata la bellissima porta bronzea, opera di Bonanno Pisano.

All’interno, infatti, un tripudio di tessere d’oro compone mosaici che lasciano senza fiato. Su tutti, il Cristo Pantocratore, che dall’alto dell’abside sembra abbracciare l’intera chiesa e forse l’intero Creato.

L’UNESCO ne è rimasta conquistata, tanto da ricambiare l’abbraccio con la sua protezione, insieme con le cattedrali di Cefalù e di Palermo. Oltre al ben di Dio (è una chiesa, è il minimo) di opere musive che ne ornano l’interno, il chiostro offre ancora un supplemento di magia. Le sue 228 colonnine doppie, ognuna decorata in modo diverso anche con intarsi di pietre dure, sono un inno alla composizione della diversità. Nel chiostro coesistono infatti numerosi stili completamente diversi, eppure così ben armonizzati da dare materia di riflessione a chi osteggia l’integrazione fra culture.

Con gli occhi pieni di meraviglia e sfavillanti dell’oro che ricopre le pareti, ci rimettiamo in sella. Usciamo da Monreale sulla SS186 e la seguiamo verso ovest, in direzione di Partinico. La strada è stretta ma molto bella, nel periodo giusto diventa un trionfo di ginestre, il cui profumo riempie il casco ed accompagna l’esplosione di giallo che colora le montagne intorno. Il tracciato è sinuoso e godibile, ma va usata molta prudenza perché la strada è stretta ed un veicolo lento causa code di guidatori impazienti, pronti a tutto pur di superare il temporaneo ostacolo. Dopo pochi chilometri, un’ultima curva apre la prospettiva sul golfo di Castellammare, poi la strada scende verso Partinico. Alla grande rotonda imbocchiamo la SS113, che ormai dovrebbe esserci familiare.

Una sosta ad Alcamo non deve mancare, la fece anche Goethe.

Direzione Trapani, ma per una sosta nel mio paese: Alcamo. Ci arriviamo vedendo da lontano il profilo arrotondato del monte Bonifato, che con i suoi 825 metri si erge sul territorio circostante. E sui 250 metri di Alcamo. Uno dei centri principali della provincia di Trapani, con i suoi quasi 50.000 abitanti. Ha origini arabe e ha dato i natali al famoso Ciullo (o Cielo) d’Alcamo, che compose nel XIII secolo il suo Contrasto in lingua volgare. Il suo incipit “Rosa fresca aulentissima…” è noto anche a chi non parla in rima tutto il tempo.

Piazza Ciullo ad Alcamo.

Al poeta è intitolata la piazza principale, restaurata nel 1996 su progetto di Gae Aulenti. Su questa affacciano la chiesa del Collegio dei Gesuiti, con il suo bel loggiato adiacente, ma anche la chiesa di Sant’Oliva. Nelle immediate vicinanze, la Chiesa Madre e quella dei SS. Paolo e Bartolomeo offrono ulteriori esempi di barocco, molto ricchi ed interessanti. Mi fermo qui, ma cito almeno il Castello dei Conti di Modica, le cui origini risalgono al XIV secolo e che, restaurato, dovrebbe prima o poi veder funzionare l’Enoteca Regionale, in predicato da decenni.

La Chiesa Madre di Alcamo.

Il territorio è infatti caratterizzato da un’eccellente vocazione vinicola. Il vitigno storico è il Catarratto, un bianco tanto bistrattato per il nome quanto interessante per le caratteristiche. Dà origine a vini dalla grande acidità e proporzionale capacità di pulizia della bocca, quindi ideale per accompagnare pesce dalle carni grasse.

Castello dei Conti di Modica ad Alcamo.

Ma non solo, visto che il corredo olfattivo e gustativo è ampio e ricco, spaziando dalle note fruttate di agrumi e mela a quelle più esotiche, a quelle floreali di ginestra. Per chiudere con una caratteristica e appena accennata vena amarognola di mandorla, che è davvero la firma del vitigno.

In questi ultimi anni diversi vignaioli stanno investendo energie su questa cultivar, riuscendo a tirare fuori potenzialità finora trascurate. Nei dintorni della piazza, diversi bar offrono la migliore occasione di conoscere, oltre al vino, la pasticceria locale.

Cannoli, sfinci, minne di vergine, cassateddi, cassata, cassatine…l’elenco dei dolci da provare è infinito. E sul vino ci sarebbe tanto altro da dire…

Tante le specialità, ma la più tipica è la “minna di vergine” (detta anche pasta vergine), una sfoglia sottile e friabile, impastata con la ricotta e ripiena di crema di latte, cannella e gocce di cioccolato. Mi dilungherei volentieri, ma siamo nel bel mezzo di un giro in moto, non è il caso. Riprenderemo il discorso Alcamo un’altra volta, approfondendo l’aspetto enogastronomico, magari.

Ora ci rimettiamo in sella e procediamo verso Castellammare, il paese marinaro che presta il suo nome all’intero golfo. Il centro vitale del turismo è il suo porto, che i locali chiamano, senza transigere, “Marina”. A parte la bellezza del posto in sé, è il punto di partenza per visitare le stupende calette della riserva dello Zingaro, che occupa la costa fra Scopello e San Vito. Anche Castellammare meriterebbe un corposo approfondimento, grazie ad uno sviluppo turistico che negli ultimi anni l’ha dotata di una capacità d’accoglienza degna di nota e di una ristorazione finalmente in crescita.

La Marina a Castellammare.

Trovare pesce fresco è abbastanza semplice, a volte più difficile è scovare una proposta che non sia troppo mirata al turista medio. Se si è stanchi di una giornata in sella, basta spostarsi di pochi chilometri verso l’interno, fino a raggiungere uno dei due stabilimenti termali che sfruttano le sorgenti di acqua sulfurea della zona. Entrambi sono dotati di piscine esterne, con acqua intorno ai 38 gradi. Una prima opzione sono le Terme Gorga (GPS 37.978540, 12.911341), dotate di pizzeria e possibilità di pernottamento. Una seconda, che ha subito diverse ristrutturazioni ed è dotata anche di una piccola piscina indoor, sono le Terme Segestane. Qui non c’è ristorazione annessa ma, a poche centinaia di metri, la pizzeria Rustic (GPS 36.967735, 12.893316) offre più di quanto si possa chiedere in termini di scelta, di abbondanza di porzioni e di qualità, grazie a Nino ed Enzo che si prenderanno cura di voi.

Una pizza del Rustic.

Ci restano gli ultimi chilometri da coprire per chiudere la nostra giornata a Scopello.

Ci arriviamo dalla SS187, che prendiamo tornando verso Castellammare dalle terme. Sulla statale, l’indicazione è ben visibile e ci invita a svoltare a destra, scendendo verso il mare che vediamo in tutta la bellezza della baia di Guidaloca.

La baia di Guidaloca.

Poi ancora poca strada e siamo arrivati. Scopello è un piccolissimo borgo che ospita un centinaio di abitanti, quantità elevata al quadrato nel periodo estivo, quando diventa meta di turismo globale.

Baia di Guidaloca in notturna.

Il nome Scopello deriva con tutta probabilità dalla parola greca che indica gli scogli, in particolare i bellissimi faraglioni che fanno da cornice alla Tonnara, una delle più antiche e meglio conservate di Sicilia. Ora in disuso per la pesca, è stata restaurata e convertita. È possibile alloggiare in appartamenti che danno direttamente sulla piccola baia dominata dai faraglioni e dalle due antiche torri di avvistamento, di cui una in rovina e risalente alla prima fondazione della tonnara, probabilmente il XII secolo.

roccapalumba
La Tonnara di Scopello.

Il paese di Scopello, più in alto, è composto di poche case cresciute intorno ad un baglio seicentesco che ora ospita numerosi locali. Fra questi, per qualità dell’offerta, mi piace citare il Nettuno.

Attraversando il locale, sul retro un piccolo terrazzo offre una veduta superlativa sul mare, con l’occhio che può seguire tutta la costa del golfo fino a Capo Rama, nei pressi di Terrasini. È il caso di assaggiare anche il famoso “pane cunzatu” che ormai è oggetto di numerose proposte ma per cui il punto originario di riferimento è sempre stato il panificio Stabile (GPS 38.070855, 12.817416). Dopo cena, prendere un calice di vino buono e, se non c’è folla, mettersi comodi a sentire gorgogliare la fontana al centro della piazza. Il resto del mondo può attendere domani.

La fontana a Scopello.

Qui il percorso della tappa di oggi

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