Dici Epiro e ti ritrovi a viaggiare in Grecia, Albania e, sorpresa… in Italia! Ecco il resoconto del viaggio in Vespa sulle montagne dell’Epiro, mi ha insegnato molto più di altri. Partiamo con la Grecia
Chi viaggia tanto sa che ci sono viaggi che insegnano più di altri. A me è capitato con l’Epiro. Scelto quasi per caso (casuale come sa essere solo il destino), immaginato in un certo modo a tavolino prima della partenza, l’Epiro si è rivelato strada facendo, piano piano, come fosse una persona. Sospingendomi dove in realtà non avevo in programma di andare.
Volevo la Grecia e mi sono ritrovata in Calabria, passando per l’Albania. Altro che “terraferma” (questo significa Epiro in greco antico)! Però lo ringrazio, appunto come fosse una persona, perché adesso “so”. So che senza quel pezzettino di sud Italia chiamato Arberia il quadro non sarebbe completo. Ne mancherebbe la parte più viva, che ancora canta. Ma non anticipiamo il finale. Andiamo con ordine. Il mio viaggio ve lo racconto in tre tempi. Lo so, è strano, quando si parla di moto i tempi sono due o quattro direte voi. Ma non è bello sorprendersi?
È andata così. Dopo tanti su e giù per l’Italia, per festeggiare i miei 40 anni voglio mettere per la prima volta all’estero le ruote della mia Vespa. È una PX del 2005, il classico “Vespone” da viaggio ma dotato di quelle cose benedette chiamate freno a disco anteriore e miscelatore. Scelgo la Grecia d’istinto, come fosse un richiamo. Partendo da Bologna con una 125 (più o meno…) l’uso del traghetto per raggiungerla è praticamente d’obbligo. Solcheremo il mare da Ancona a Igoumenitsa.
Qualche giorno prima della partenza compro la carta stradale del Touring che comprende Grecia Albania e Macedonia.
È pieno agosto e complice la calura estiva padana (che se ci atterrasse all’improvviso un marziano si chiederebbe com’è possibile la vita qui) passo il mio tempo a cartina spiegata sul tavolo. Dove andremo una volta sbarcate? Igoumenitsa significa Epiro, e l’Epiro è terra di montagna, legata a tradizioni profonde e profonda spiritualità in aria sospesa (qui si trovano i vertiginosi monasteri ortodossi delle Meteore). Niente casette bianche e blu con l’Egeo sullo sfondo insomma. l’Epiro non sono le Cicladi. Scorro col dito le strade disegnate sulla carta, quasi potessi così assaggiarne l’asfalto per magia. Vedo il confine albanese poco distante. Di solito dove c’è un confine c’è anche una questione in sospeso, una storia non risolta. I confini originano più guai di quelli che risolvono, e di rado rispecchiano il cuore di chi li abita.
Una ricerca veloce mi conferma che il caso dell’Epiro non fa eccezione. Anticamente comprendeva zone geografiche oggi distribuite tra il nord della Grecia e il sud dell’Albania, fino a Valona. E ancora oggi ci sono minoranze greche in terra albanese, e minoranze albanesi in terra greca; e non sempre le cose filano lisce. La faccenda si complica, e complicandosi mi affascina come il canto delle sirene. Guardo la cartina e controllo. Sembra fattibile. Decido così che sbarcherò a Igoumenitsa, poi giù fino ad Arta, su verso Giannina e da là verso l’Albania, con tappe ad Argirocastro e Valona. Aggiudicato! Stappo una birra e prenoto il traghetto d’andata. Il ritorno no: quello, se e quando, lo deciderà la Vespa. Come sempre.
Arrivo all’imbarco con la Vespa borbottante (non saprei come altro definire quel poppoppopò che è la sua voce).
Ci accodiamo ai motociclisti grandi (chiamo così quelli che viaggiano su moto più grandi della Vespa, o più semplicemente moto, cioè praticamente tutti…) e attiriamo l’attenzione generale. Effettivamente sembriamo in assetto da gita fuoriporta, più che da strade internazionali. Borse morbide di pelle legate ai portapacchi con le corde elastiche, casco demi-jet, jeans e scarponcini. È colpa mia se facciamo tenerezza. Io e la Vespa rimaniamo impassibili e sorridiamo sornione. That’s our style, baby!
Sul traghetto un motociclista grande dice che mi invidia: proprio perché così combinata e non potendo usare l’autostrada sono più libera. Sentirò odori che lui non sentirà, passerò in paesini in cui lui non passerà (perché quando puoi accorciare lo fai), mi fermerò più facilmente davanti all’incanto di un paesaggio perché ci sarò più immersa. “U-a-u”. Vorrei enumerargli le cose che io invidio a lui, ma ho paura che se dicessi “tu almeno non sei come un leprotto sulla statale” guasterei la poesia del momento. Taccio e guardo il mare.
La notte passa come passano le notti sui traghetti quando non prendi la cabina e non sai dove mettere il tuo corpo. Se riesco a dormire è perché i 250 km e più fatti per raggiungere Ancona sulla SS16, o Adriatica che dir si voglia, sono una ninnananna efficace. L’ho fatta diverse volte: almeno 5 ore servono sempre. Il risveglio mi regala un’alba strepitosa, con il sole che sorge dietro i monti d’Albania.
È ora di sbarcare e di mettere finalmente le ruote all’estero! Destinazione Epiro.
Salutati i motociclisti grandi che come da copione si tuffano in autostrada, io prendo la E55 verso sud, direzione Parga-Préveza. La strada è larga, l’asfalto buono. Sento la Vespa felice, e se è felice lei lo sono anch’io. Canta nelle sue progressioni prima-quarta senza accenni di fastidiosi vuotini. Il cielo di fine agosto è bellissimo e l’aria profuma di quella cosa che chiamano macchia mediterranea. Sono anni che fiuto ogni fiorellino e cespuglio, mai paga, confidando che prima o poi scoprirò cos’è. Lascio la litoranea e prendo per Arta.
Del fatto che, nonostante il nobile passato (Arta fu la capitale dell’antico Epiro), oggi sia città non troppo turistica, mi accorgo subito. Entro in un bar e chiedo in inglese indicazioni per un hotel. Il tizio mi guarda stupito e in greco mi spiega per filo e per segno come raggiungerlo. Io il greco non lo capisco, ma forse grazie all’eco lontana delle nostre comuni origini o alla benevolenza degli dèì dell’Olimpo, trovo l’hotel e mi ci piazzo senza esitare, perché… ha il garage privato! Che la Vespa riposi tranquilla al sicuro è l’unica cosa che chiedo alle strutture in cui pernotto, ovunque vada.
Il pomeriggio scorre lento passeggiando tra bellissime chiese bizantine (segnalo la Parigoritissa, col suo splendido Cristo Pantocreatore, e Santa Teodora, dove il papàs che parla italiano mi ha accolto a braccia aperte). Finisco la giornata cullata da ottima cucina greca. La torta salata ripiena di spinaci e formaggio che qui chiamano Spanakopita, in Albania la ritroverò col nome di Byrek, di fatto tenendomi compagnia per tutto il viaggio. E tra i vapori dell’ouzo ripenso ai 135 km fatti oggi.
L’indomani parto subito dopo colazione. Mi separano solo 70 km da Giannina ma preferisco non aspettare.
Anche la E951 è in buone condizioni, l’asfalto a tratti un po’ granuloso. Le classiche Michelin S83 se la cavano bene. La Vespa è tranquilla. Viaggiamo circondate da montagne che sanno di fiabe e di mito. Nel tragitto incrocio più volte gente senza casco, su motorini e moto, ovviamente del luogo, e a un certo punto mi chiedo se non sbaglio io a indossarlo! A Giannina arrivo troppo presto per andare all’hotel che questa volta ho prenotato online la sera prima (la sorte non va sfidata sempre). Raggiungo il centro e mi fermo per un caffè. Il giovane e gentilissimo gestore, esaltato dalla Vespa, decide poi di guidarmi personalmente all’hotel, lui davanti col suo motorino. Grazie amico!
Sistemata lei nel garage, mi arrampico a piedi verso la vecchia cittadella. L’arrivo è mozzafiato. Mi sento catapultata all’indietro di secoli. Vado spesso in giro per antichità, ma un effetto così forte e istantaneo non mi era ancora capitato. Nello spazio della cittadella ci sono la chiesa convertita a moschea dopo la conquista turco-ottomana di metà ‘400, un museo di arte bizantina e la vista spettacolare del famoso lago cittadino. Mi guardo intorno: tra cielo, alberi, lago e prato è un tripudio di mille verdi e blu, sempre con le immancabili montagne a confinare lo sguardo. Ma domani un confine dovremo passarlo: ci aspetta l’Albania.