Chiunque visiti la Sicilia non può fare a meno di rendere omaggio a Sua Maestà il Vulcano, l’Etna.
Alzi la mano chi è capace di andare a Roma e non degnare di uno sguardo il Colosseo. Oppure di visitare l’Egitto e snobbare le piramidi. Ecco, farebbe esattamente la stessa cosa chi venisse in Sicilia e non si recasse a rendere omaggio a Sua Maestà il Vulcano, l’Etna. Con la differenza che il Colosseo è grande, sicuramente, ma occupa poche migliaia di metri quadrati. La piramide di Cheope, molto più vasta, si estende per circa 50.000 m2. L’Etna oscilla intorno a 1.200. Che non sono metri quadrati, bensì chilometri. In pratica, un quarto della superficie dell’intero Molise.
Posta la questione nella giusta prospettiva numerica, diciamo anche che le fredde cifre non esprimono tutto. Perché la presenza di questo immenso cono si percepisce, si sente addosso. L’Etna è lì, lo senti anche se gli volti le spalle. Incombe. E offre alla vista immagini che restano scolpite nella memoria. Una delle mie preferite si gode in primavera, procedendo verso est sulla SS120, quando una delle tante curve svela il cono innevato, divenuto fondale di teatro su cui recita la sua parte di paese-presepe l’abitato di Gangi. Ma le viste del vulcano sono infinite, così come lo sono le vie per raggiungerlo.
Ne indico alcune fra le più suggestive per gli occhi e divertenti per la guida.
Dalla costa nord, a Sant’Agata di Militello, ci si può arrampicare sui Nebrodi percorrendo la SS289. Tracciato stupendo in mezzo ai boschi, con una pavimentazione che ha beneficiato del miracolo di San Giro d’Italia, protettore degli asfaltatori, che fece qui la sua apparizione nel 2017. Neanche il tempo di voltare le spalle al mare, godendo di una decina di km di divertimento, che ci si trova a quasi 700 metri di altitudine, circondati da gente amichevole ma che…parla una lingua incomprensibile. Siamo a San Fratello, anzi a San Frareau se adottiamo il dialetto locale. Un idioma gallo-italico che si è conservato nell’area fin dai tempi della sua colonizzazione da parte di popolazioni dell’Italia settentrionale, fra l’XI ed il XIII secolo. Intorno al paese, lasciando vagare lo sguardo, è facile scorgere qualche esemplare del cavallo autoctono – il sanfratellano appunto – che lì vive allo stato brado.
La strada prosegue fitta di curve fino a Cesarò, da dove si prosegue verso Randazzo sulla SS120, anche questa di recente pavimentazione. Se non si ha voglia di visitare il grazioso paese, è il caso di deviare sulla SS284 e imboccare subito la provinciale denominata “Quota Mille”, dal nome che evoca – in modo del tutto casuale – la mitica maxi-enduro Guzzi degli anni ’90. La strada corre parallela alla SS120 in direzione est, ma è molto più scenografica e divertente, con il bonus di un minor traffico e di un tracciato che evita l’attraversamento dei piccoli agglomerati urbani che si susseguono fino a Linguaglossa.
Siamo in una delle zone di culto per i vini dell’Etna, quelli che negli ultimi anni stanno immensamente crescendo in popolarità. Ogni contrada che si attraversa porta nomi che, per gli appassionati di vini, suonano come una musica celestiale. Se si ha voglia, è l’occasione per visitare cantine piccole e di assoluta eccellenza (www.frankcornelissen.it per citare un fulgido esempio), oppure grandi e dall’architettura tanto raffinata quanto mimetizzata col territorio (www.pietradolce.it per citarne un altro). I nomi da fare però sarebbero troppi, divertitevi a scoprirli! In ogni caso, il seguito sarà continuare a godersi la moto percorrendo la Quota Mille fino al suo termine naturale. Perché le cose belle finiscono, purtroppo. Ma nessuna tristezza, please! Perché — eccezionalmente — finiscono per lasciare il posto a qualcosa di più bello.
La SP366 tira fuori l’hooligan che c’è in ogni motociclista!
Nel nostro caso, la SP366. Che, chiamata così, sembra promettere un anonimo trasferimento con l’adeguata dose di noia. Ma poiché è più nota col nome di Mareneve, forse il trasferimento non sarà così noioso. Non so se sia, motociclisticamente, la strada più bella della Sicilia. A certi livelli d’eccellenza, il primato è una questione di preferenze individuali. Di certo ha tutti gli ingredienti per restare nel cuore di ogni motociclista, che sia uno a cui piace spingere o uno che gode di panorami unici. Solitamente faccio parte della seconda categoria, ma questa strada…questa strada tira fuori l’hooligan che vive in ciascuno di noi. I cartelli ripetono lungo tutto il percorso che la strada NON è un circuito, ma è una lezione dura da farsi entrare in testa. Per cui attenzione perché, soprattutto durante i giorni di fine settimana, è frequente incontrare traffico non del tutto consono alla normale rete viaria.
Nei giorni in cui l’eruzione diffonde sabbie e ceneri, accertarsi che la strada non ne sia ricoperta, pena il trovarsi a terra in pochi metri. La Mareneve ha asfalto splendido, tracciato con tornanti stretti ma che non rompono il ritmo, panorama mozzafiato…se solo si avesse il tempo di guardarlo. Vista che cambia col crescere dell’altitudine, quando la lava prende il sopravvento sulla vegetazione e trasforma la strada terrestre in un percorso lunare. Dopo una quindicina di km il Brunek è un piccolo rifugio che funge da campo base per la stragrande maggioranza dei motociclisti.
Per la sosta ci si può fermare al rifugio Citelli, a poca distanza dal cratere.
Proseguendo qualche altro km, s’incontra l’indicazione per Piano Provenzana e poi quella per il rifugio Citelli (www.rifugiocitelli.it), dove ci si può fermare per una sosta e magari una birra guardando la costa jonica, 1.700 metri più in basso. Avendo tempo e voglia, si può anche pernottare. La sistemazione è da rifugio, piuttosto spartana. Ma è anche molto suggestiva ed economica, inoltre aggiungere una lauta cena appesantisce soltanto di poco il budget. Invece non hanno prezzo l’emozione di dormire a poca distanza dal cratere che fuma placido, la vista, la tranquillità. Vale la pena di stare fuori dalla civiltà, per un po’.
Ma la Mareneve non finisce al Citelli, così la riprendiamo in direzione sud, verso Fornazzo e Milo. La vista cambia tanto, rispetto alla salita da Linguaglossa. L’occhio spazia su un orizzonte più vasto, che include il mare. In tarda primavera è un tripudio verde di foglie, nero di lava e giallo di ginestre, che ubriacano con il loro profumo mentre i tornanti si susseguono, più aperti, più ariosi. Fermandosi al termine di questa strada meravigliosa, la tentazione a cui resistere è quella di fare inversione e rifarla al contrario, tanto dà dipendenza. Una meraviglia inebriante. A proposito d’ebbrezza, superando Milo e Zafferana ci troviamo in un’altra zona d’eccellenza vinicola etnea, con tanta scelta per visite che ritemprano lo spirito con…altro spirito!
Abbiamo appena sfiorato l’argomento Etna, ci sono tante altre vie per viverne l’essenza, godendo a pieno della moto. Ma al momento ci fermiamo qui, torneremo in seguito a chiedere udienza a Sua Maestà il Vulcano.