Motospia

Arianna nel cuore dell’Asia

proteggersi in moto

Mancavano 30 giorni esatti alla partenza quando ho realizzato, per davvero, quello che sarebbe accaduto. Quando ho aperto la grande carta dell’Asia Centrale e ho tracciato con il dito tutta la strada che avrei percorso dall’Italia alle cime innevate del Tajikistan.

Per me, che in sella alla mia moto, una Honda CB500X, avevo viaggiato per al massimo 30 giorni all’interno del vecchio Continente, anche solo l’idea di raggiungere l’Asia rappresentava una sfida straordinaria.

Con un itinerario ben chiaro in testa: dall’Italia avremmo raggiunto la Slovenia. Da lì avremmo proseguito verso Croazia, Bosnia, Montenegro, Serbia e Bulgaria, per poi gettarci definitivamente in Oriente.

In Croazia

Ero perfettamente consapevole che un’avventura meravigliosa mi aspettava, così come ero consapevole che non sarebbe stato per nulla facile. Vivevo nell’impazienza e nella curiosità, fino a quando venerdì 2 giugno è arrivato e mi sono chiusa la porta di casa dietro le spalle. Da quel momento in poi tutto avrebbe contribuito a creare il ricordo di una delle esperienze più straordinarie della mia vita.

I Balcani sono stati un attraversamento familiare: dopo averli esplorati per ben due volte in solitaria mi piaceva l’idea di condividere quello che avevo amato con un’altra persona. E così è stato. Dalla Bosnia alla Serbia, abbiamo percorso chilometri a cavallo della storia, fino alla frontiera con il Kosovo. Dove siamo stati bloccati perché, a differenza degli altri Paesi della Ex Jugoslavia, per varcare il confine era necessario esibire il passaporto.
Ci siamo guardati per qualche secondo, prima di mettere in tasca le nostre carte di identità e allontanarci. Non c’era nulla da fare: i nostri passaporti erano ancora in Italia, fra l’ambasciata Russa e quella Uzbeka per ottenere i visti, e li avremmo recuperati solo una volta arrivati in Bulgaria. La sbarra non si sarebbe alzata, e così siamo tornati da dove eravamo venuti.

In Montenegro

Quando sono partita per il viaggio sapevo bene quanto avrei potuto spendere per quei tre mesi on the road, ma ero sicura che con un po’ di sacrifici avremmo potuto cavarcela tranquillamente. Avevamo preventivato un budget di mille euro a testa al mese, ma sapevamo anche che avremmo fatto il possibile per rendere il viaggio il più low cost possibile. E così è stato: fin dai Balcani il fatto di avere con noi tenda, sacco a pelo e materassini – e di essere entrambi membri veterani della rete di Couchsurfing – ci ha permesso di risparmiare molto sui pernottamenti. Godendo appieno del panorama e dei luoghi che ci circondavano, entrando in relazione con le persone incontrate lungo il percorso e stringendo un patto quasi fisico con la terra che ci accoglieva.

Dopo aver raggiunto la Bulgaria, e aver passato qualche giorno a casa di Michele – un amico italiano che lavora a Sofia – abbiamo varcato le porte dell’Oriente in un’assolata giornata di metà giugno.
Istanbul, la metropoli, ci ha tolto il fiato e ci ha gettati definitivamente verso Est. Lasciandoci il ricordo indelebile di una città straordinaria, che sogno di tornare a scoprire con più calma.
La Turchia dell’estate 2017 era deserta di turisti: avevamo la sensazione di visitare un Paese per il quale la gente aveva iniziato a nutrire timore. Che fosse causa del colpo di stato dell’anno precedente, o della minaccia universale dell’ISIS, da nord a sud abbiamo avvistato ben poche targhe straniere. I nostri sono stati due dei pochi mezzi a spostarsi verso la zona del Nemrut Dagi, prima di guidare verso la Georgia, ed è guardando i grandi volti di pietra tinti dai colori caldi del tramonto che abbiamo salutato la Turchia e il nostro primo mese di viaggio. Le montagne della Georgia e la storia drammatica dell’Armenia ci aspettavano dietro l’angolo.

Percorrere la Georgian Military Road è un po’ come respirare a pieni polmoni un paesaggio pieno di suggestione: immersa nel verde, nella pietra e nelle montagne, quella strada ci ha regalato alcuni degli scorci più emozionanti dell’intero viaggio. Fino all’Armenia, patria sorella e culla di una popolazione straordinaria. Come Asia, che sogna di fare la chef e per la quale i pochi turisti di passaggio rappresentano una preziosa occasione di dialogo. Con lei abbiamo parlato della nostra vita in un inglese che era in grado di andare oltre a tutte le differenze, sentendoci finalmente a casa dopo tanto vagare.

Lasciare la bellezza straordinaria del Caucaso per entrare in Russia non è stato facile, ma si trattava di un passaggio obbligato per evitare l’attraversamento in traghetto del Mar Caspio.
Già a pochi chilometri da Tblisi mi ero trovata nella situazione di dover ricorrere a misure di emergenza: su una strada sterrata – l’unica percorribile scendendo dalle montagne e dissestata per via di un cantiere lungo chilometri – avevo bucato una gomma in tanti punti ed avevamo dovuto raggiungere la capitale abbandonando il mio mezzo in un piccolo villaggio di provincia. Caricata la ruota posteriore sull’altra moto mi ero stretta fra il copertone e la schiena di Alessandro, con la speranza di trovarne una nuova in città e che, al ritorno, la mia moto si trovasse ancora dove l’avevamo lasciata.


In Georgia ci era andata bene, quel giorno, perché avevamo avuto la fortuna di trovare una gomma usata esattamente della misura di cui avevo bisogno, ma il secondo incidente si è prospettato subito ben più complesso.
Allontanandoci da Astrakan una buca aveva piegato il mio cerchio in maniera irrimediabile, facendo fuoriuscire l’aria dalla gomma tubeless. L’unica soluzione era caricare nuovamente la ruota sulla seconda moto, incrociando le dita e sperando di trovare un meccanico che avesse il coraggio di mettere mano al mio cerchio in lega.
Dopo interminabili ore di ricerca la sorte deve aver guardato dalla nostra parte, perché due fratelli meccanici hanno deciso di dedicarci tre ore del loro tempo. Dopo innumerevoli colpi di fiamma, martellate e immersioni in un catino di acqua, siamo riusciti a tornare sui nostri passi. Trenta chilometri dopo la mia moto, abbandonata ancora una volta sul ciglio della strada, si stagliava contro l’orizzonte infuocato di un tramonto russo. Era monca, e aspettava solo noi per tornare a correre.

La discesa attraverso il Kazakistan, e poi verso l’Uzbekistan, è stata un’avventura nel caldo più torrido che abbia mai provato: la strada immersa nel deserto di sabbia era una lingua di buche e polvere circondata dal nulla, che dovevo percorrere con ogni senso all’erta. Il percorso tremendamente dissestato – e la cronica mancanza di pompe di benzina che ci costringeva ad andarla a cercare casa per casa – non rendeva affatto le cose semplici.
Quello che rappresentava un tratto della storica Via della Seta è stata per noi una grande prova di resistenza: da Khiva a Bukhara, e poi a Samarcanda, il calore dell’aria sembrava infilarsi sotto alla pelle e non uscirne più. L’unico sollievo era dato dal passeggiare fra le vie, circondate da spesse mura chiare, al calar del sole. Era in quel momento che pareva di poter respirare ancora una volta il profumo di un passato lontano, mentre le cupole azzurre si gettavano a capofitto nel cielo.
Non c’era distinzione fra le costruzioni degli uomini, così magnifiche da lasciarci senza parole, e l’immensità di quello che viveva sopra di noi, e così passavamo le nostre serate a riempircene gli occhi, prima di metterci nuovamente in marcia.

La temperatura ha iniziato a cambiare nel momento in cui abbiamo cominciato a salire di quota: una volta varcato il confine con il Kirghizistan l’impressione è stata quella di entrare in un mondo completamente altro. Fatto di verde rigoglioso e di picchi innevati che si profilavano contro un orizzonte non troppo lontano, fatto di occhi a mandorla, di yurte e di cavalli.
Entrando in Kirghizistan mi sono resa conto che la Cina e la Mongolia si trovavano davvero pochi passi più in là, e mai come in quel momento mi sono sentita lontana da casa. Ma non si trattava di un “lontano” nostalgico: era una semplice considerazione geografica basata su tutti i chilometri che avevo percorso per arrivare fin lì, e su tutti quelli che ancora, in un modo o nell’altro, avrei dovuto fare per tornare al punto di partenza.

A Bishkek siamo rimasti a riposo qualche giorno, mentre attendevamo pezzi di ricambio per la moto di Alessandro e io mi preparavo alla fase successiva del mio viaggio.
Avevo deciso, infatti, non senza poca sofferenza, di cambiare le carte in tavola e di interrompere la mia avventura su due ruote prima del tempo: il resto della strada, lungo la Pamir Highway, l’avrei percorsa con i mezzi di fortuna che avrei trovato giorno per giorno.
Mettendo da parte, per le ultime due settimane, la fatica della guida e affidandomi al prossimo, alla fortuna e alla mia capacità di adattamento.
Alessandro, che aveva più tempo di me, avrebbe continuato il suo viaggio in sella per ancora più di un mese, mentre io avrei approfittato di quelle ultime settimane per vivere un viaggio nel viaggio e mettermi, ancora una volta, alla prova.

 

Cose da sapere/fare prima di intraprendere un viaggio in Asia Centrale

– L’importanza del viaggiare leggeri: più la moto è scarica meno difficoltà avrete nell’affrontare le strade tremendamente dissestate che vi aspettano. Viaggiate con meno cose possibile, e in caso acquistate. Non fate il mio stesso errore.
– Equipaggiarsi di una buona mappa (ottime sono le carte Reise, disponibili anche per quest’area di mondo)
– Scaricare Maps.Me, un navigatore affidabilissimo che vi permette di fare il download le mappe delle singole nazioni e poterle così consultare anche offline.
– Per quanto riguarda i pernotti le indicazioni fornite dalla guida Lonely Planet “Asia Centrale” sono piuttosto affidabili. Consultatela senza problemi, in caso di bisogno.
– Una volta arrivati negli –Stan, soprattutto in Uzbekistan, avere con sé un buon filtro benzina fa la differenza per preservare la salute della propria moto. Sappiate, inoltre, che in questo paese la benzin non viene erogata alle normali pompe, che distribuiscono solo gas. Va cercata al mercato nero, ed è una prassi diffusissima.

VISTI

Per viaggiare in Asia Centrale, lungo l’itinerario da noi percorso, non avrete bisogno di grandi permessi. Gli unici visti che vanno richiesti sono quelli di Russia, Uzbekistan e Tajikistan.
I primi due vanno domandati presso le ambasciate dei Paesi in Italia, con un buon anticipo, prima della partenza. Per quanto riguarda il Tajikistan, invece, è da tempo in funzione una comoda pratica di e-visa che viene fatta in pochi minuti via Internet. Basta compilare un modulo, pagare la propria quota tramite carta di credito e il permesso verrà inviato via mail entro poche ore.
Non dimenticate di chiedere il GBAO Permit, durante la procedura: è gratuito e solo con quello si è in regola per il transito, e la visita, lungo la Pamir Highway (M41).

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