I dati delle vendite 2016 nella lettura di Francesco Menichelli, avvocato e “sociologo della moto”, nonchè motociclista di lunga data. Le ragioni dei successi analizzati nel dettaglio: il sogno di sentirsi grandi viaggiatori si scontra con un uso destinato più al quotidiano ed al weekend (a patto che non piova)
I dati sulle vendite e le classifiche delle moto più vendute sono la stella polare per gli
operatori del settore. Tutti, dai produttori all’ultimo dei blogger, come studenti davanti
ai quadri di fine stagione, si accalcano di fronte a grafici e fogli excel per capire come è
andato l’anno trascorso e, soprattutto, se sarà necessario cambiare rotta per andare
incontro ai gusti del mercato o si possa continuare nella stessa direzione. Per gli
appassionati, invece, si tratta probabilmente di niente più di una curiosità, alla quale
però difficilmente si rinuncia. Che sia per vedere in quale posizione si è piazzato il
brand del cuore o per verificare la bontà della previsione fatta un anno prima sul
successo di un determinato modello, ogni forum motociclistico, social media o bar del
motoclub diventa istantaneamente un simposio di analisti di mercato e raffinati trend
setter.
http://www.moto.it/news/mercato-2016-immatricolazioni-a-13-3-le-moto-balzano-a-21-5.html
Da bravo appassionato ovviamente non faccio eccezione, ma essendo poco avvezzo a
numeri e strategie di marketing tendo a leggere le classifiche da un punto di vista
“sociologico” o più semplicemente di costume:
studiare cosa si compra per capire come sta evolvendo il motociclista.
Partiamo dai dati ufficiali: la moto più venduta in italia nel 2016 è la BMW GS 1200 con
3329 unità, che diventano 5400 se aggiungiamo anche i numeri della Adventure (che
da sola occupa la 6a posizione in classifica); seconda l’Africa Twin con 2840 unità; se
aggiungiamo le 2355 Honda NC 750 X (4a in classifica) e le 1323 Ducati Multistrada (8a),
ne emergerebbe il ritratto del motociclista italico viaggiatore avventuroso e
cosmopolita. Un centauro infaticabile, un macinatore di chilometri voglioso di
esplorare il mondo e che per questo non è disposto a fermarsi nemmeno quando
finisce l’asfalto.
Sappiamo benissimo che non è così e che quella appena descritta è una minoranza
risibile. E qui sorge la prima considerazione: il mercato non riflette ciò che siamo, ma
ciò che vorremmo essere. La moto quindi, prima ancora che uno straordinario
strumento per muoversi e divertirsi, è primariamente un esaltatore di sogni: il
glutammato di sodio della fantasia. Siamo stati tutti Rossi/Biaggi nei primi 2000 con le
nostre R1 o 996; per poi diventare indomiti ribelli senza una causa in sella alle Harley-
Davidson. Ma cosa ha determinato questa deriva “avventurosa” degli ultimi anni?
Secondo me tre sono i fattori: la crisi economica, la ciclicità dei revival e la Bmw.
La prima ha pesantemente depresso il mercato della moto; un oggetto straordinario,
che tutti amiamo, ma che è assolutamente superfluo e pertanto è uscito dalla vita di
molti, anche dei più appassionati, semplicemente perchè sono finiti i soldi .
Ovviamente, come al solito, sono stati i giovani ad essere i più penalizzati: con una
disoccupazione giovanile al 40% non c’è spazio per pensare alle moto e solo la parte di
popolazione più matura, e quindi economicamente “stabile”, può permettersi di
coltivare una passione che richiede comunque un certo impegno in termini di denaro.
Certo, la passione pura non conosce ostacoli e quando si è davvero “malati di moto”,
una cifra minore di quella necessaria all’acquisto di un cellulare di alta gamma è più che
sufficiente per mettersi in sella ad un vecchio usato e continuare a sognare. Ma non
possiamo dimenticare la vecchia e mai debellata sindrome del “Top di Gamma”, una
patologia che colpisce più in Italia che nel resto d’Europa.
Da sempre abituati al bello, troppo spesso badiamo più alla forma che alla sostanza,
dipendiamo degli status symbol e ci piace apparire; piuttosto che farci vedere su
qualcosa che non sia”il massimo”, si va a piedi.
Cosa c’entra la ciclicità dei revival? Mediamente si ritirano fuori mode e tendenze di 30 anni
prima e pare che le moto non si sottraggano a questa regola.
Negli anni ’80 e ’90 la Dakar era tra gli eventi motoristici più seguiti e affascinanti ed il
mercato, ovviamente, ne venne fortemente condizionato. I produttori di mezzo
mondo misero a listino moto dal sapore africano ed il concetto stesso di fuoristrada
subì un forte cambiamento; non si guardava più solo alla mulattiera ed al fettucciato,
ma si volse lo sguardo verso un orizzonte molto più vasto, fatto magari di dune
desertiche. Le enduro crebbero in peso e potenza per poter affrontare lunghe distanze
su qualsiasi terreno e anche se la meta non era il deserto della Mauritania ma le
spiagge Romagnole o i passi alpini sembrava proprio che non si potesse fare a meno di
quei mezzi. I 20/30enni di allora sono, oggi, il vero target delle case motociclistiche.
Hanno disponibilità economiche e rappresentano la maggioranza di quelli capaci di
muovere il mercato del nuovo. Cosa c’è di più semplice che farli sentire di nuovo
giovani cavalcando le loro vecchie passioni?
In tutto ciò una menzione particolare va a BMW che col suo GS ha avuto un impatto
epocale sul mondo della moto. La sua storia parte proprio dalla spiaggia di Dakar, che
la vide più volte vittoriosa, per svilupparsi ininterrottamente lungo quasi 4 decenni.
Le indubbie doti di passista e l’incredibile versatilità ne hanno fatto lo strumento
prediletto di generazioni di viaggiatori. La facilità di guida ed un marketing aggressivo,
e mi riferisco sopratutto ai sistemi di finanziamento, una moto alla portata di molti
nonostante un costo decisamente non economico.
La prima R- G/S del 1980 e il modello 2017 R1200GS Rally
E poi non dimentichiamoci dell’appeal che gli status symbol hanno sugli italiani.
Insomma, un mix perfetto di fattori che ne ha fatto, a ragione, un riferimento e che ha
convinto (o forse costretto?) KTM, Triumph, Honda, Ducati e Yamaha a proporre delle
alternative, con fortune alterne.
Gli stessi dati di vendita ci dicono che per chi invece non subiva, o non subisce più, il
fascino dell’avventura, l’alternativa sono le modern classic.
Il rimando al passato fatto di eleganti linee retrò, le potenze non imbarazzanti e la
facilità di guida hanno riportato in sella molti dei ragazzi degli anni ’60 e ’70.
Qui è Triumph con le varie declinazioni della Bonneville ad aver tracciato da tempo la
strada (15a in classifica con la Street Twin, ma sarebbe 7a aggiungendo anche i numeri
della T120), seguita poi da Moto Guzzi con la sua V7 (20a nella Top 100) e finalmente
anche da Ducati che con la sua Scrambler 800 ha immediatamente preso in mano le
redini del settore, (5a in classifica con ben 2264 immatricolazioni, a cui vanno aggiunti
altri 550 pezzi nella versione 400 cc).
Ovviamente non sono solo i motociclisti agé ad apprezzare queste categorie di moto;
soprattutto le classiche godono dei benefici effetti della popolarità del vintage e delle
icone sixties che da anni ci accompagna e che ne fanno pertanto il perfetto
complemento per i riders più giovani e modaioli.
E poi ci sono la naked. Proposte in mille diverse declinazioni, queste moto
rappresentano l’altra faccia del mercato. Quella più razionale, se vogliamo, perchè la
maggioranza dei motociclisti italici fa un uso della moto concentrato nei mesi estivi, nel
fine settimana e principalmente per percorrenze medio-basse. Ecco che una moto
essenziale, performante e abbastanza accogliente per il passeggero, rappresenta la
scelta più ovvia e appagante.
Ma questa è un’altra storia e merita ben altro approfondimento