La patente internazionale, ovvero il documento che ci permette di guidare nei paesi dove non c’è il riconoscimento automatico della patente italiana. In realtà, un modo molto farraginoso per far confluire soldi nelle casse della Motorizzazione Civile a fronte di un foglio di carta privo di qualsiasi utilità.
Si avvicina il Natale, per molti le feste possono essere l’occasione per un bel viaggio in moto in Africa, in India o in qualche altro posto (caldo, possibilmente). Oppure il momento in cui il viaggione, da fare con calma nel 2019, viene pianificato con grande entusiasmo e attenzione. Se la vostra meta è sufficientemente esotica vi troverete quasi certamente a fare i conti con la patente internazionale, un documento aggiuntivo che certifica i mezzi che siete abilitati a guidare in patria e che, in virtù di precisi accordi tra paesi, sarete autorizzati a guidare anche all’estero.
Da un punto di vista normativo la patente italiana è sufficiente per guidare in Europa e in diversi Paesi extra-europei (tra cui alcuni stati degli USA). Per gli altri paesi extra-europei – la maggior parte – è invece richiesto un permesso internazionale di guida che non può essere utilizzato autonomamente, bensì deve essere sempre accompagnato dalla patente nazionale in corso di validità altrimenti perde ogni valore.
Attenzione però, si scrive documento ma in realtà va letto come 2 documenti diversi: esistono infatti due distinti modelli di patente internazionale: il modello “Ginevra 1949” (validità 3 anni, copre alcuni paesi) e il modello “Vienna 1968” (1 anno, altri paesi). Quindi nell’età delle scansioni biometriche e dei passaporti con la lettura dei codici a barre se volete guidare all’estero dovete procurarvi un pezzo di carta (che si rovinerà dopo appena due giorni nella tasca interna della giacca da moto, provare per credere) legittimato da accordi scritti ai tempi della Moto Guzzi Astore o, se siete fortunati, della Honda CB 750. Che idea moderna, no?
La richiesta di permesso internazionale (patente internazionale) di guida va presentata agli uffici periferici della Motorizzazione Civile (spesso aperti solo al mattino o fino al primo pomeriggio), compilando un apposito modulo (e portando un po’ di scartoffie da casa). Naturalmente dovrete anche pagare, per l’esattezza 42,20 euro, e ritornare per il ritiro dopo 15-20 giorni (se chiedete la procedura di urgenza alla modica cifra di 5 euro aggiuntivi potreste riuscire ad averla quasi in giornata).Quindi per ricapitolare si tratta di un documento che da solo non serve a nulla, che non vale dappertutto e che obbliga a ore in fila in motorizzazione (e alle poste, evviva i bollettini) per ottenerlo. Senza contare che quando siete all’estero non ve lo chiedono quasi mai – e in molti paesi chi lo fa, magari a un controllo di polizia, punta solo a trovare una scusa per scucirvi una piccola mazzetta –. Insomma, un inutile salvacondotto figlio di un’epoca analogica che sopravvive, inspiegabilmente secondo noi, nel mondo del cloud.
A voler proprio fare gli avvocati del diavolo bisogna però riconoscere che il rilascio delle patenti internazionali da un piccolo gettito aggiuntivo alle casse del Ministero dei Trasporti, a fronte di un costo marginale pressoché nullo. Questo vuol dire che bisogna tenersi questo documento ormai anacronistico col solo scopo di rimpinguare il bilancio dello Stato e tenere un po’ più occupati impiegati e ingegneri del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti?
Non necessariamente, e qui Motospia ha un suggerimento per il Ministro Toninelli (che certamente in questo momento storico ha a cuore temi più pressanti quali la sicurezza delle strade che tutti percorriamo). Perché non abolire l’inutile patente internazionale (magari mettendo un bel bollino sulla patente vera all’atto del rilascio, senza ulteriore burocrazia per l’utente) e al suo posto riformare la normativa per il rilascio della targa in modo da renderla trasferibile da un veicolo all’altro? Questa disposizione andrebbe ad affiancarsi a quanto previsto già oggi dall’articolo 100 del Codice della Strada che disciplina il rilascio delle targhe personalizzate.
Una modifica a vantaggio degli automobilisti e dei motociclisti più vanitosi che, come testimoniano le esperienze in USA e UK, sono pronti a spendere cifre anche importanti per avere il numero o la parola del cuore impressa nella targa del proprio mezzo, tenendosela per la vita.