Finalmente libera! Con le dovute precauzioni anti-covid io e la Vespa mascherata siamo partite da Bologna e arrivate in Calabria. La strada è stata lunga 8 regioni, 1.340 km, sulle tracce di antiche fughe e migrazioni. Ecco il resoconto dei nostri 8 giorni sulla via bizantina lungo lo Stivale.
Ebbene sì, l’ho fatto. Lo abbiamo fatto. Io e l’immancabile Vespa (PX più o meno 125 del 2005), compagna fidata. Come promesso, abbiamo lasciato il garage bolognese e siamo partite alla volta della Calabria sulla via bizantina. Finalmente! Destinazione: Santa Sofia d’Epiro, paese dell’Arberia cosentina che già conosciamo e che volevamo salutare dopo la lunga reclusione primaverile. Ci abbiamo messo 8 giorni. Partite un giovedì, siamo arrivate il giovedì successivo. Abbiamo macinato 1.340 km. Ve li racconto in due parti, ora che siamo in pace, da un meraviglioso terrazzo vista Valle del Crati e monti del Pollino… io a scrivere, e la Vespa in giardino a dormire il sonno del giusto!
Quanto dista B da A? Dipende dalla strada che fai. Io ho scelto una strada tematica, ed ecco il motivo di tanti chilometri in un certo senso più dei necessari. Il tema era la destinazione, le sue caratteristiche storiche. Essendo Santa Sofia d’Epiro un paese arbëresh, con l’origine nell’Albania bizantina (queste popolazioni migrarono in Italia alla fine del ‘400, in seguito all’invasione turco-ottomana, e oggi sono una minoranza etnico-linguistica riconosciuta e tutelata), ho cercato le tracce di Bisanzio nell’Italia che c’è tra Emilia Romagna e Calabria.
Alla partenza da Bologna non potevo quindi che raggiungere sulla via San Vitale Ravenna (che tra VI e VIII secolo fu capitale dell’Esarcato bizantino d’Italia), passare sull’Adriatica nei primi tre paesi della Pentapoli bizantina, Rimini Pesaro e Fano, e a Fano lasciare la litoranea per l’interno, direzione Roma, mescolando la via Flaminia e la via Amerina. Volevo ripercorrere le tracce del cosiddetto Corridoio bizantino, una strada “via di fuga” che all’epoca dell’invasione longobarda permetteva ai bizantini di collegare comunque Ravenna, sede del potere politico, a Roma, sede del potere religioso. Avrei fatto la prima tappa a Perugia, anche se sapevo che del suo passato bizantino non è rimasto praticamente alcunché, purtroppo.
Giovedì 9 luglio. Bologna-Ravenna-Fano-Perugia. 320 km
Partiamo di buon mattino, belle cariche di determinazione e bagagli. Solita coppia di borse morbide di pelle, quella grande e pesante dietro, quella piccola e leggera davanti, entrambe legate ai portapacchi con corde elastiche. Solito minuscolo zainetto sulle spalle. Ma un inedito c’è: un secondo casco, acquistato due giorni prima della partenza nel mio negozio di fiducia (Fuorigiri Bologna), perché volevo cambiare quello che tengo di scorta. Decido di portarlo semplicemente perché mi sembra brutto appena preso lasciarlo in garage (sarò scema?), e perciò lo metto nella sua bustina di stoffa sotto le gambe, legandolo alla sella. A proposito della sella: ho montato la King & Queen, alta morbida confortevolissima, e ho benedetto questa idea per tutto il viaggio! Altra scelta benedetta: l’ammortizzatore anteriore Carbone Hi-Tech. Dà molta più stabilità, soprattutto in curva.
Fino a Fano la strada è nota, l’abbiamo fatta diverse volte. La Flaminia invece è tutta una sorpresa, devo dire neanche particolarmente bella… il fatto è che dopo un primo tratto tranquillo, da strada normale/statale diventa un girone infernale di superstrada a 4 corsie con gallerie, camion e lavori in corso. Tutte cose poco rassicuranti quando si sta su una Vespa! In più anche la temperatura ricorda l’inferno: fa un caldo opprimente. Nei pressi di Cantiano decido di fermarmi per il pranzo in una trattoria con annesso laghetto per la pesca, sperando in un po’ di refrigerio. Errore! La palude suda e fa sudare me e le tagliatelle ai funghi (ottime però)…
Ripartiamo e la strada continua le sue metamorfosi, diventando in certi punti poco più di un sentiero. Anche la pendenza cambia parecchio, alternando momenti di quasi piana ad altri più impegnativi. La Vespa è un po’ scocciata, soprattutto dal caldo, e ogni tanto tira indietro. Quando lo fa mi guardo intorno e le dico di non pensarci nemmeno a guastarsi qui, in mezzo al nulla assoluto e assolato, in un paesaggio che nonostante i quasi 300 km percorsi mi ricorda troppo quello dei colli bolognesi… l’ironia mi ucciderebbe!
Non si guasta e seppur controvoglia mi porta fino a Perugia. Capisco l’antifona e prendo il primo hotel che trovo, assicurandomi solo che abbia il parcheggio per lei, come di consueto. La sistemo all’ombra e la lascio tranquilla. Dormici su, le dico. Io mi butto sotto la doccia e poi sul letto, addormentandomi come un sasso. I primi 320 km sono alle spalle.
Venerdì 10 luglio. A Perugia
Il compito di oggi è andare alla ricerca di un tempietto circolare (i miei preferiti!) ai margini della città. Da sempre considerato paleocristiano, qualcuno di recente ha iniziato a sospettare sia di epoca bizantina, essendo stata rinvenuta al suo interno una iscrizione in greco. Raggiungo la Vespa e mentre la accendo le prometto che oggi facciamo solamente un giretto locale.
Mi hanno dato cartina e indicazioni ma mi perdo a più non posso. Credo di andare in una direzione e mi ritrovo dalla parte opposta. Non capisco la città! Alla fine lo trovo, il Tempio Sant’Angelo… e, bizantino o no, è bellissimo. L’atmosfera è magica.
E la magia aumenta quando, una volta uscita, mi siedo al tavolino dell’enoteca lì accanto, dove avevo parcheggiato la Vespa. Visto che è giornata di riposo, mi concedo una degustazione di vini e prodotti locali. Le ore passano, tra ottimi calici e bellissime chiacchiere con gestori e avventori, mentre la Vespa sonnecchia sotto gli alberi (se andate a Perugia, vi consiglio proprio di andarci all’Enoteca Il Tempio: è un luogo autentico, con più gente del luogo che turisti).
Sabato 11 luglio. Perugia-Terni-Rieti. Km 150
Riprendiamo la strada in direzione Roma. La prossima tappa bizantina è Grottaferrata, a sud della capitale; ma essendo parecchio distante (quasi 300 km) e persistendo il caldo asfissiante, sono disposta a fermarmi anche prima, per non stressare troppo me e soprattutto la Vespa.
A Terni prendo per Rieti, sulla bella strada che passa da Marmore e il lago di Piediluco. Arrivo a Rieti, l’ombelico d’Italia, verso mezzogiorno e qualcosa mi dice di fermarmi qui. La decisione si rivelerà azzeccatissima: Rieti è una cittadina che merita davvero una visita!
È uno degli aspetti che preferisco dei viaggi che faccio. Fare strade secondarie ti porta a scoprire realtà diverse dalle solite mete. Qualcuno la chiama “Italia minore”. A me l’espressione non piace, perché se è vero che in questo caso minore si riferisce alle dimensioni (più piccola), c’è pur sempre dietro l’angolo l’altra accezione del termine: minore nel senso di meno rilevante. E da un giudizio quantitativo a uno qualitativo, da misura a valore, a volte il passo è pericolosamente breve.
Rieti è stata per me una piacevole scoperta. Le sue case sul fiume Velino, dove trovano posto anche parecchi locali per godersi un aperitivo al tramonto; le chiese e il palazzo papale con ai piedi la famosa massima di San Francesco d’Assisi di cui ho fotografato la parte finale (da far leggere alla Vespa a mo’ d’ispirazione…); il monumento che segnala l’ombelico d’Italia (“che noi chiamiamo caciotta”, mi ha rivelato il simpaticissimo albergatore). E per finire in bellezza un sauté di cozze al mojito (nel senso che il mojito era stato usato per condire le cozze), una meraviglia assoluta!
Domenica 12 luglio. Rieti-Grottaferrata (RM). 130 km
Da dove ci troviamo raggiungere Grottaferrata senza passare da Roma significa azzeccare perfettamente una successione di strade secondarie degna di un investigatore privato. A ogni incrocio ho le antenne dritte come radar: se non voglio finire nel girone dantesco romano non devo sbagliare! Studiata la cartina nei minimi dettagli, a ogni passo la riguardo per memorizzare il successivo. In un punto di relativa tranquillità incrocio un gruppo di vespisti, probabilmente di un club diretti a un raduno domenicale, che arrivano in direzione opposta. Quando mi vedono iniziano a suonare e salutare. Qualcuno si sbraccia per invitarmi ad andare con loro. Belli! Ma io ho dei monaci che mi aspettano!
Il motivo per cui sto andando a Grottaferrata, infatti, è la presenza dell’Abbazia Greca, fondata da Nilo da Rossano, monaco salito dalla Calabria bizantina in seguito alle incursioni saracene poco dopo l’anno Mille e ancora oggi abitata da monaci cattolici di rito bizantino-greco (lo stesso delle comunità arbëreshë come Santa Sofia).
Lasciata la via principale per non finire a Roma, prendo per Tivoli su una strada che si immerge in bellissimi uliveti. Arrivata a Tivoli mi fermo per un caffè e chiedere ulteriori indicazioni. Ricevute, ripartiamo. Il caldo e le condizioni dell’asfalto non aiutano… ma riesco a trovare la strada senza troppi problemi. Attraversiamo ancora campi assolati ed eccoci a Frascati. Da qui la distanza è poca, e per fortuna perché la Vespa sembra proprio non volerne sapere. A Grottaferrata chiedo dove sta l’abbazia, che grazie a Nilo è ad appena 500 metri.
Un grande fossato pieno d’erba la separa dalla strada. Varcate le mura di cinta (tutto di epoca successiva) una grande statua di San Nilo accoglie i visitatori. Però diciamolo subito: Nilo con l’abbazia e il complesso intorno c’entra poco o niente. Morì infatti pochi mesi dopo il suo arrivo. Fu il discepolo Bartolomeo a realizzare, nel 1004, l’opera voluta dal maestro. E a San Bartolomeo è dedicata un’altra statua più avanti.
Mentre dall’abbazia arrivano fin nel cortile le preghiere dei monaci in forma di canto (ma mancano le voci femminili presenti invece nel rito arbëreshë che lo rendono tanto potente e suggestivo!), scopro che proprio oggi riprendono le visite guidate dopo il fermo-covid. E dopo una sosta all’amatriciana, ammiro senza fretta questo scrigno antico e rimaneggiato di bellezza e preghiera.